Musei e Gallerie
Art Galleries, musei e spazi espositivi. Luoghi pubblici e privati del mondo della cultura
"Voltati, Bianca" - segue
di Martina Pazzi
Dodici, le sale espositive, con le cento opere disposte in senso cronologico, lungo un asse temporale che, dal Cinquecento, si dipana sino al Novecento: il percorso espositivo prende avvio, a Palazzo Baldeschi, con il ‘Modello architettonico della chiesa dei Santi Luca e Martina’ al Foro Romano, realizzato in gesso e legno su scala 1:50, per poi snodarsi, dapprima, nella Sala dei Quattro Elementi, proiettandosi sul Ritratto di Girolamo Muziano di Giuseppe Ghezzi, che rende omaggio al fondatore dell’Accademia nel 1577.

"Sala dei 4 elementi" - Palazzo Badeschi, Perugia
Il Ritratto di Girolamo Muziano e il Putto reggifestone, rara testimonianza della pittura a fresco di Raffaello, rappresentano, fra gli altri, notevoli testimoni della pittura del Cinquecento esposti in questa sala: il breve di Gregorio XIII, datato al 13 ottobre del 1577 e ritratto in mano dell’effigiato nel primo dipinto, sancisce la ferma volontà, espressa dal Muziano, di istituire un’accademia, oggettivata in questo bel ritratto, dal ductus pittorico solenne, in linea con l’immagine accademica del pittore, con gli strumenti del mestiere e, non da ultimo, con l’accento posto sugli emblemi e sui documenti della cancelleria pontificia. Il putto reggifestone, dal canto suo, attribuito al Sanzio, presenta punte di affinità con quello che affianca a sinistra il Profeta Isaia dipinto dal maestro urbinate negli anni Dieci del Cinquecento nella chiesa romana di Sant’Agostino.

"Putto reggifestone" Raffaello S.,Palazo Badescu, Perugia
La Sala della Sapienza accoglie, fra le altre, due opere del Bronzino, il Sant’Andrea e il San Bartolomeo, eseguite per la pala d’altare della chiesa Madonna delle Grazie a Pisa e rimossa negli anni Ottanta del XVI secolo: vendute nel 1821 all’Accademia di San Luca dal pittore neoclassico Vincenzo Camuccini, le due tavole si inerpicano lungo un fuoco prospettico, in direzione della tavola con il Cristo portacroce, indicato dai motivi geometrici del pavimento, e dalle linee anatomiche sapientemente distribuite.
La Sala della Verità ospita, ad esempio, per il visitatore lieto, il Bacco e Arianna di Pietro da Cortona, che richiama i Baccanali di Tiziano in un connubio di versatilità, tecnica e inventiva, di leggerezza fittizia sottesa al sapiente impianto compositivo dell’opera, gioioso negli accostamenti di colore, nella tensione verso sinistra, nel dinamismo dei soggetti raffigurati, nello studio dell’anatomia.

"Sala delle muse" - Palazzo Badeschi, Perugia
Nella Sala delle Muse sono esposte anche opere di esponenti della pittura fiamminga e olandese, come Peter Paul Rubens e Anton Van Dyck: il primo è presente con Le ninfe che incoronano la dea dell’abbondanza del 1622, raffigurate secondo i modi più tipici del pittore fiammingo e intente a disporre sul capo della donna al centro, connotata da una cornucopia, simbolo di abbondanza, una corona; del secondo artista una Vergine con angeli musicanti, datata al 1627, la cui architettura compositiva risulta qui complicata per la presenza, in basso, del globo e del serpente, allusione al mistero dell’Immacolata Concezione.
La Sala di Diana ed Endimione, la cui volta centrale è occupata dagli stemmi di Ubaldo Baldeschi e di Tecla Balleani e dall’immagine dell’omonimo mito del bellissimo fanciullo immerso in un sonno eterno e di Diana che, invaghita di lui, si reca a trovarlo ogni giorno, mito raccontato nei Dialoghi degli Dei di Luciano, propone una selezione di opere di mano dei maggiori esponenti dell’arte seicentesca romana e napoletana e non solo: lo sguardo del visitatore è catalizzato dal dipinto dell’austriaco Daniel Seiter, Loth e le figlie, dalla pittura vaga e dal vigoroso uso del colore, dall’intersecazione dei piani direzionali, dal sapiente ricorso alla luce quasi caravaggesca.
Negli ultimi due spazi espositivi di Palazzo Baldeschi, la Sala dell’Architettura e il Salone degli Stemmi, prende in esame, rispettivamente, il prolifico periodo settecentesco dell’Accademia, volto alla istituzionalizzazione di concorsi per artisti, a partire da quello Clementino, il cui termine post-quem è il 1702 – il concorso fu vinto, nel 1775, da Giuseppe Valadier, di cui la sala accoglie due progetti, fra cui la planimetrica del progetto di sistemazione di piazza del Popolo –, e alla promozione della produzione di artisti come Carlo Maratti, caposcuola a Roma della pittura di impostazione classicistica e di derivazione emiliana: dell’allievo prediletto di Andrea Sacchi, la mostra propone un "Giaele uccide Sisara", degli anni Novanta del Seicento, una storia ‘in quadri piccoli’ come l’ha definito Giovanni Bellori, erudito e biografo dell’artista, tratta dai cartoni preparatori per la decorazione musiva del vestibolo della cappella della Presentazione nella Basilica di San Pietro.
L’Ottocento e il Novecento, invece, sono ben rappresentati e oggettivati nelle opere esposte a Palazzo Lippi Alessandri: non un secolo qualunque, il XIX, non un anno qualunque, il 1810, quando, all’epoca del governo francese, venne ufficialmente assegnato all’Accademia l’arduo compito della formazione degli artisti, istituendo numerosi concorsi, fra cui anche quello voluto da Antonio Canova. Questo fino al 1874, anno in cui, a seguito dell’annessione di Roma al Regno d’Italia e alla sottrazione all’Accademia della finalità della didattica, l’istituzione dovette lasciare le aule di via Ripetta a Roma per trasferirsi nella sede storica al Foro Romano. Questa seconda parte del percorso espositivo si apre con il Ritratto di Giuseppe Valadier eseguito, tra il 1827 e il 1828, dal già citato Wicar, che sottende un intento evocativo, a partire dalla tela stessa, cosiddetta ‘da imperatore’. Seguono gli esponenti del Neoclassicismo, come Francesco Hayez, presente con Ulisse alla corte di Alcinoo, della metà degli anni Dieci dell’Ottocento, il cui soggetto si riferisce all’episodio omerico in cui Ulisse commuove all’ascolto della narrazione delle gesta di Troia, rivelando, così, la propria identità. Il Novecento, infine, si apre nel segno del ritratto, in una struttura circolare con l’esposizione a Palazzo Baldeschi: il riferimento è all’opera Primi e ultimi pensieri (Autoritratto) di Giacomo Balla, del 1949, in cui l’artista futurista accosta il proprio volto a quello della produzione di un autoritratto della figlia Elica: l’allusione al mestiere di artista è, qui, velata, sottile, immortalata in una dimensione domestica.
La stessa che era stata propria, naturalmente, di Bianca.
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