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ARTE

Non possiamo negare l’attrazione e il fascino che subiamo di fronte all’arte, e anche quindi ad ogni sua declinazione, ad ogni sua disciplina. C’interessa la voce di tutti ed è di ognuno che vogliamo parlare.

MAURIZIO PELLEGRIN

di A.R.

Maurizio Pellegrin, Veneziano, ha lasciato l’Italia venticinque anni fa’, e vive a New York.

Ritorna comunque a Venezia ogni anno, dove ha ancora casa e studio.

Nel 1988 la sua partecipazione alla Biennale di Venezia gli ha aperto la strada per il suo operare negli Stati Uniti. Dopo una grande mostra al Museo di San Diego nel 1990, il suo lavoro e’ stato esposto in quasi tutti i musei americani e nelle maggiori gallerie.

Negli ultimi anni il suo lavoro e’ apparso sempre meno in mostre pubbliche e private, dovuto ai differenti impegni e cariche di carattere educativo che Pellegrin ha assunto come l’insegnamento nelle piu’ prestigiose universita’ americane, tra cui Columbia University, New York University, Rhode Island School of Design, al ruolo di direttore creativo alla National Academy Museum & School.

E’ cosa veramente curiosa come un’artista del suo calibro, con un lavoro impeccabile, un artista silenzioso e fuori dalla scena italiana, con un curriculum formidabile, sia stato puntualmente non considerato nei maggiori eventi in Italia per oltre trent’anni.

Paradossalmente questo lavorare ai margini di Maurizio Pellegrin, un’artista raffinato, intelligente, il cui lavoro fatto di oggetti d’epoca o consunti riesce a trascendere il dato materiale per trasformarsi in un inno alla bellezza e alla misura, ha permesso un percorso solitario e completamente diverso da tutti gli artisti a noi noti.

Il suo lavoro colto e sottile, e’ organizzato tra collezioni di frammenti e oggetti che divengono universi poetici, con l’uso di un limitato numero di colori messi in relazione alla tradizione orientale, il tutto armonizzato e arrangiato con codici numerici. Il lavoro si sviluppa attraverso installazioni, sculture, fotografie, film, dipinti.

 

Per la Biennale 2015, Maurizio sara’ a Venezia alla Marignana Arte per una sua mostra. La mostra, curata da Filippo Fossati, si sviluppa intorno all’installazione central, “Dove volano i treni”, e comprende nelle sale adiacenti un gruppo di sei opere.

 


          

Estratto dal testo di Filippo Fossati 

 

“Da molti anni ormai Maurizio Pellegrin vive a New York. Torna a Venezia, la sua città natale, con questa mostra dopo una lunga, laboriosa assenza in cui ha esposto le sue opere in musei pubblici e gallerie private di tutto il mondo.

Per cominciare sarà bene dire qualcosa sul titolo di questa mostra: Treni volanti, carte appese e altri pensieri. Si tratta di un gruppo di opere eterogenee che ruotano intorno ad un’installazione, un’architettura di rotaie e trenini che galleggiano nell’aria, viaggiano sui binari di un’esperienza storica, una vicenda lunga più di un trentennio, che da pittorica via via ha assorbito un insieme artistico più ampio, debordando dalla tela nello spazio. Sono lavori, avvisa l’autore, da guardare in controluce, in quella zona al limite tra il contenuto, il testo ed il contesto, tra descrizione, linguaggio e rappresentazione, tra l’idea poetica e corporalità. Sono stralci tratti da diari di viaggio, geografie di qualcuno che tornando a casa ha scelto di scoprire alcune carte che dichiarano la propria presenza e il proprio operare.  In questa tappa del suo pellegrinare - mi si conceda il neologismo ed il gioco di parole - Maurizio Pellegrin verifica oggi, qui, con questo titolo e questa mostra, uno stato d’animo.  Il risultato plastico e la prospettiva futura si trovano nei complessi intrecci che muovono dai binari di quei trenini volanti, dalle carte appese e dagli altri pensieri e si prolungano agli spettatori. Il limite, l’orizzonte, ch’è poi in verità il nucleo del discorso, è la messa in discussione di una razionalità che nulla ha a che fare con l’arte ed è il punto di partenza, la stazione-palcoscenico da cui volano i treni di Pellegrin.

Non è un caso che Maurizio Pellegrin abbia deciso di fare una puntata proprio ora, durante la Biennale.  E’ un fatto da considerare al di là dell’evidenza, soprattutto in un momento storico in cui la scena dell’arte sembra essere concentrata principalmente sullo spettacolo e sulle apparenze più superficiali della natura umana, che il lavoro di Maurizio Pellegrin continui impavido, in maniera poetica e vigorosa, a interrogarsi sul senso della vita.  Non si tratta di un assunto banale, di uno stereotipo. Alcuni dicono che l’arte aiuta l’uomo a conoscere il mondo come qualsiasi altra attività intellettuale. Il fare arte di Pellegrin, la sua curiosità, dicono diversamente. L’arte potenzia le capacità spirituali che in certi casi la conoscenza diminuisce, e le opere che va facendo non sono una via d’uscita dal quotidiano ma immersioni profonde, meditazioni che permettono di non essere catturate dall’ordinario, dalle facili emozioni o da certa psicologia da salotto. 

La forza del lavoro di Pellegrin sta nel rendere visibili le possibilità, le contiguità e continuità degli oggetti e delle forme. Tutto è immoto e al tempo stesso ogni cosa si muove tra l’immaginazione che incombe sui lavori, lo spazio mentale del protagonista e le testimonianze sparse degli oggetti.  Le energie prodotte da questo fermento evocano, creano e indicano a loro volta altre memorie, altri luoghi. Le rotaie e i trenini in misteriosa levitazione, così come i fili di ferro, i leggeri graffiti sulla carta sono indizi, disordinati ricordi d’infanzia, nostalgie che diventano segni concreti nello spazio e che partendo da terra puntano in alto. Dice l’artista quel che diceva un grande pittore francese: “sono sempre il cielo, le cose senza limite, ad attrarmi”. Egli ricompone una realtà diversa da com’essa si propone e ne prospetta una nuova, risalendo alle radici, al suo momento iniziale. Non ricostruisce l’universo come intesero i futuristi, non sostituisce una realtà con un’altra, ma mette in atto un meccanismo che procede a metà strada tra l’esplorazione sofisticata di un linguaggio e la ripetizione che appartiene al virtuosismo, come un musicista che interpreta e improvvisa, Maurizio Pellegrin opera tra occasione e ripetizione. Ciò che lo stimola e lo attrae non è la realtà sociale o quella urbana, ma un’occasione artistica, la conferma delle modalità di un processo costruttivo “

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