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paeSaggi

una rubrica di interazione per la cultura contemporanea e le arti visive sulla tematica del paesaggio

"Natura, Artificio e Paesaggi futuri" - segue

di Benedetto Todaro

PROGETTO COME ESPRESSIONE

 

Le varie forme in cui l’umana creatività si esprime hanno dato luogo, nel tempo, a linguaggi specifici. Avviene così che si possa parlare di linguaggio musicale, di linguaggio pittorico, scultoreo, di linguaggio grafico o architettonico e - ovviamente - di linguaggio poetico e letterario, attraversando praticamente ogni diversa forma estetica a comprendere danza, teatro, cinematografia e le molte loro ibridazioni che oggi conosciamo: dagli spot pubblicitari ai video clip e oltre.

Ognuna di queste forme espressive, nel corso della sua storia evolutiva, si è dedicata a temi e repertori propri. Potremmo dire che dell’infinita gamma di interessi, moti e problemi che attraversano l’animo e l’intelletto umani, ognuna abbia selezionato quelli sui quali esercitarsi in via preferenziale. In questo posizionamento delle varie forme espressive un ruolo importante lo ha esercitato – come ovvio – la committenza e, in generale lo spirito dei tempi. Un esempio tanto per capirsi: se nell’Egitto dei faraoni, sotto un potere teocratico assoluto, l’architettura, la pittura parietale e la scultura monumentale hanno dato quei capolavori universalmente noti e riconosciuti, ciò è dovuto a millenni di progressivo raffinamento di esperienze, di conoscenze e di strumenti costantemente volti ad esprimere pochi concetti fondamentali coerenti tra loro: la grandezza, la potenza, la sacralità e l’eternità del potere teocratico-politico. Tutta l’arte monumentale egizia delle grandi dinastie ha concentrato i suoi intenti nell’esprimere questi concetti derivati da un’idea sovrumana del potere e soprannaturale della vita. L’arte egizia ha così elaborato e messo a punto un linguaggio per comunicare al meglio a masse di sudditi analfabeti che le cose andavano in modo ineluttabilmente ottimale, in salde mani politico-religioso-militari e che non venisse in mente a nessuno di sollevare obiezioni. Altri aspetti pure importanti della vita: il privato, gli affetti domestici, le pene d’amore, l’angoscia esistenziale, in una parola tutto ciò che ha grande importanza per l’individuo, non ha trovato spazio significativo nell’arte egizia (e negli interessi della sua committenza) come invece è stato, tanto per citare un caso opposto, nel romanticismo dell’Ottocento, periodo in cui la committenza borghese gradiva e commissionava opere volte alla celebrazione dei sentimenti e all’esaltazione dell’individuo. Da qui la particolare fioritura della ritrattistica romantica (pittorica e letteraria) a dimostrazione del ruolo svolto dallo spirito del tempo e dagli orientamenti culturali dominanti nel definire i temi espressivi.

 

All’interno di queste correnti dominanti in grado di caratterizzare le epoche  sono rintracciabili altri moventi e intenti più specifici e particolari così che con qualche fondamento potremmo interrogarci sull’esistenza o meno di legami preferenziali tra contenuti (ovvero  soggetti da comunicare poeticamente) e forme espressive più adatte a veicolarli.

La tesi di fondo, neanche troppo azzardata, è che pittura, scultura, ma anche teatro e cinema, musica, danza, poesia e narrativa, posseggano una struttura comunicativa adatta a narrare tra l’altro anche vicende e problemi esistenziali; possono – cioè - essere mobilitate per penetrare all’interno del guscio di intimità individuale e render partecipe il loro pubblico di moti soggettivi dell’animo; possono descrivere vicende private, commuovere e coinvolgere molti nel sentire del singolo. Possono, in sintesi, narrare storie. Al contrario le forme espressive tipicamente legate al progetto, per intenderci quelle di cui ci occupiamo: dall’architettura al design e alla comunicazione visiva e quindi il paesaggio, sono governate – pur nelle loro specificità e differenze – da uno statuto che le riguarda tutte e che si è andato consolidando nel tempo attribuendo loro una missione marcatamente sociale e condivisa; accade così che un progetto si rivolga a tutti, ma parlando di nessuno in particolare. La sua espressività può dedicarsi alle grandi questioni epocali, può parlare (indirettamente) di cose pubbliche, di valori condivisi e generalmente comprensibili, non è adatta a scendere nell’analisi del privato. Un esempio: sempre nell’Ottocento, secolo che ha fatto un uso disinvolto e opportunistico degli stili architettonici storici, le importanti istituzioni bancarie, per comunicare solidità e affidabilità erano solite adottare, per la propria sede, uno stile d’ispirazione classica (il classico non tramonta mai) e magari tra i vari ordini privilegiare il dorico (tra tutti il più forte e solido). Valori mistici e religiosi si sono invece riconosciuti nel neogotico: stile in effetti adottato in molti edifici religiosi. Inoltre l’architettura nelle sue varie forme, l’ambiente e il paesaggio, come è stato spesso notato, sono normalmente oggetto di fruizione disattenta, il fruitore – cioè – non si reca deliberatamente all’incontro con esse, ma le incontra inevitabilmente nel corso della sua giornata. In questi incontri può dedicare loro attenzione specifica oppure, come avviene il più delle volte, percepirle marginalmente e senza attenzione. Questa condizione, che sarebbe lesiva nel caso dell’opera d’arte o comunque di tutte quelle manifestazioni espressive che veicolano solo significati e richiedono quindi dovuta attenzione e intenzione fruitiva, per architettura e paesaggio sono la norma. In alcuni casi limite anche architettura e design (il monumento, l’oggetto esposto al MOMA) si danno alla fruizione pretendendo attenzione, ma è notevole che ciò avvenga solo ad una condizione: la preventiva cessazione di ogni funzione utile, come nel caso - appunto - del monumento o dell’oggetto in esposizione. La cessazione di funzione utile ed il riconoscimento di valore eccezionale promuovono il progetto, originariamente rispondente alla triade vitruviana firmitas, utilitas, venustas, a oggetto di degustazione estetica mirabile per il solo valore della sua venustas. Resta comunque prevalente, nell’esperienza della produzione quotidiana, l’attitudine del progetto a fornire contemporaneamente funzioni, sapienze costruttive e,  per quanto attiene ai valori figurativi, esprimere solo valori generali e condivisi astenendosi da forme più specifiche di narrazione.

 

 

CONSEGUENZE

 

Il motivo per cui propongo una riflessione su questa differenza che presumo esista tra il sistema espressivo nella progettazione del paesaggio rispetto a quello di altri linguaggi è conseguente all’osservazione, durante lo svolgimento di molti workshop di progettazione ambientale, dei modi in cui  gli studenti partecipanti sono soliti articolare i loro modi espressivi per veicolare i concetti di base assegnati dal programma.

Mi è parso che buona parte di loro, se non la maggior parte, colga l’occasione dell’ esercitazione relativamente libera e creativa per mettere in scena una comunicazione empatica fortemente orientata a destare reazioni emotive, a com-muovere, operando su tasti normalmente  usati da altre forme espressive (narrativa, poesia, pittura, drammaturgia). Mi è parso cioè che l’intento fosse di spostare il linguaggio del progetto grafico o spaziale verso mood prevalentemente emotivi se non addirittura sentimentali; comunque personali e, a volte, intimi. In uno degli ultimi workshop che mi è capitato di seguire il tema assegnato chiamava in causa – appunto - i rapporti tra natura e artificio. la traccia si interrogava circa la validità del ragionare,  ancora oggi,  secondo il paradigma di tale dicotomia. È evidente la contiguità con la questione ecologica e prevedibile il pericolo di derive retoriche. Fuori di dubbio che esista oggi un grande problema: il pianeta terra non è più quell’universo infinito che poteva apparire in epoche pre-tecnologiche, la saturazione è pressoché completa, la Terra appare ora poco più di una grossa astronave con scorte limitate e un equipaggio in crescita fuori controllo. Come esprimersi col progetto in questo contesto? Dato il taglio non direttamente applicativo richiesto dal programma iniziale, c’è stato spazio per libere interpretazioni e per approcci a trecentosessanta gradi. Indubbiamente interessante quindi ora poter registrare questa forte, e per molti versi inattesa, presenza della componente empatica in gran parte dei progetti. Quasi una sfiducia da parte delle nuove leve di progettisti nell’efficacia delle facoltà razionali e un appello ai sentimenti individuali improntati ad una giudiziosa positività sconfinante a volte nella nostalgia. Siamo in presenza di una generazione decisamente perbene, poco politicizzata, non molto fiduciosa nelle strutture sociali, attenta ai valori individuali e tradizionali, con propensioni intimistiche. Chissà quali paesaggi futuri ne deriveranno, forse non dispiacerebbero a Tibullo!

 

Settembre 2016

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