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IL VENETIAN RESORT DI LAS VEGAS NON È UN’OFFESA ALL’ITALIA

  • Immagine del redattore: Samuele De Marchi
    Samuele De Marchi
  • 9 giu
  • Tempo di lettura: 6 min

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di Samuele De Marchi


Avete presente quella strana sensazione che si ha dopo un sogno, quando tutto ciò abbiamo visto è riconoscibile nonostante siamo coscienti delle differenze? Quando un luogo o una persona ci sono familiari, con un nome e un posto, ma non siano esatti al cento per cento? Credo sia la stessa sensazione che chiunque possa provare visitando la finta Venezia ricostruita a Las Vegas, all’interno del Venetian Resort.


Affacciato direttamente sulla Las Vegas Strip, una delle strade più famose al mondo e colonna vertebrale della città dei casinò per eccellenza sorge il gigantesco Venetian Resort, l’hotel a cinque stelle più grande degli Stati Uniti che, se unito con l’adiacente The Palazzo, forma il secondo complesso alberghiero più grande del mondo. Nel settembre 2023 inoltre al complesso del Venetian si è aggiunta la “Sphere”, la sfera a Led utilizzata come landmark luminoso nella città e altra location a disposizione. 

L’hotel venne inaugurato il 3 maggio 1999 con una delle spese all’epoca più alte del settore alberghiero pari a circa un miliardo e mezzo di dollari; per il suo battesimo presenziò addirittura Sophia Loren, altro simbolo inconfondibile di italianità. A voler realizzare il colosso fu il miliardario Sheldon Adelson in onore della vera Venezia, scelta come destinazione per la sua luna di miele con la moglie Miriam. Per la riproduzione dei monumenti più iconici della città - in scala 1:2 - sono stati utilizzati materiali provenienti direttamente dal nostro Bel Paese, come il marmo Botticino dalla zona di Brescia quello verde Saint Denis originario del nord Italia, principalmente dalla Valle d’Aosta. Lo spazio copre più di cinquanta mila metri quadrati di superficie che poggiano al di sopra della zona casinò dell’hotel; si parte con le riproduzioni del ponte di Rialto, del palazzo del Doge e del campanile di San Marco contornate da negozi e ristoranti, il tutto attorno alle acque - cristalline - del finto Canal Grande su cui ovviamente non mancano gondole - a motore elettrico - guidate da gondolieri che intonano qualsiasi tipo di canzone italiana. Tanto si sa che sono tutte uguali, no?

Il canale e le sue sponde su cui scorrazzano artisti di “strada” come acrobati, cantanti lirici e mimi, conducono poi al cuore della città, piazza San Marco, adibita interamente a centro commerciale di lusso con soffitto finto che illumina sempre la piazza con una romantica luce da tramonto.


Il Venetian Resort ci da l’input per aprire ragionamenti e temi profondi sulla finzione, sull’identità e sull’italianità all’estero: 

Abbassiamo i forconi e le fiaccole della rivolta, perché se ci fermiamo un secondo a pensare se quella del Venetian sia davvero la copia della nostra Venezia o meno, la risposta potrebbe essere uno scioccante, sorprendente e inaspettato no. 

La riproduzione americana assomiglia a un parco a tema, più che a una vera città; tra casinò, negozi di lusso e passeggiate attorno alle vie di “Venezia” in completi chiari di lino - ovviamente per la coscienza collettiva reputati italianissimi - sembra proprio di essere dentro a una sorta di Disneyland per adulti, che tiene conto solo della bellezza e non delle problematiche che una città - specialmente una interamente pedonale costruita in una laguna - può comportare: al Venetian non ci sono problemi legate a voli intercontinentali, hotel costosi e alte stagioni turistiche, non bisogna condividere vicoli stretti con altri milioni di turisti sotto il sole cocente di luglio, non c'è bisogno di programmare itinerari e fare file alle biglietterie, non c'è sporcizia, decadimento urbano, lavori di ristrutturazione alle attrazioni o rischio di essere derubati. Il Venetian non è una città ma una commedia, uno spettacolo teatrale, un burlesque luccicante e profumato. Nessuno si dovrebbe aspettare di trovare nel bel mezzo del deserto del Nevada una città europea antichissima, costruita in una zona geografica unica nel suo genere, al massimo chi ha avuto la possibilità di vedere entrambe le versioni potrebbe rimanere colpito dall’accuratezza delle riproduzioni e dei dettagli.  Confrontereste mai un parco giochi per bambini con una qualsiasi città, se non il fatto che ci si può camminare attraverso? Trovate per caso qualcosa in comune tra un paio di occhiali da sole e un paio di infradito, se non il fatto che si possono indossare per andare in spiaggia? Io personalmente no, proprio perché le nostre due Venezie non sono fatte per gli stessi scopi. E non è affatto un caso che esista un comitato cittadino veneziano - armato di slogan e gruppo Facebook - che si chiama proprio “Venezia non è Disneyland”.



Foto: Courtesy Agostino Bonaventura


Non si tratta quindi di una copia vera e propria di una città e non c’entra col paradosso della nave di Teseo, ma ha un fascino - se così si può dire - tutto suo: mancando la funzione della città si distacca dal vero diventando a suo modo verità, una riproduzione fine a sé stessa e allo spettacolo, inserita inoltre in un contesto, quello di Las Vegas, dove l’opulenza fa da padrona indiscussa. Quello che bisogna considerare della riproduzione di Venezia non è la sua accuratezza ma il suo essere kitsch, un prodotto, per alcuni di cattivo gusto ma per altri innegabilmente impressionante; secondo Walter Benjamin, il kitsch è immediatamente appagante a livello emotivo senza prendere in considerazione l’intelletto, non ha bisogno di studio e di comprensione né del fenomeno né delle sue origini e trasformazioni più profonde diventando prodotto usa e getta, come se già non sapessimo quanto questa “opera” sia figlia del consumismo più sfrenato. Ovvio, al massimalismo del kitsch spesso si lega una componente grottesca impossibile da ignorare, ma spesso è proprio questa che lo rende così popolare, ammettere con onestà intellettuale che un qualcosa ci piace proprio perché è brutto, che solletica la nostra parte inconscia più esibizionista e a tratti cafona. E evidentemente tutto ciò funziona, dato che nella sola Las Vegas non è l’unica città europea ad essere imitata; l’hotel e casinò Paris Las Vegas sfoggia i più importanti centri d’attrazione della capitale francese, come il Louvre, l’Opéra Garnier, l’Arc du Triomphe e ovviamente la Tour Eiffel. Senza discostarci dall’Italia invece, il successo del Venetian è stato talmente grande che ne è stata creata un’altra riproduzione anche a Macao in Asia. 


Questo ci da l’assist perfetto per parlare dell’identità dell’Italia nel mondo e del suo potere come vero e proprio brand: ancora prima del cibo, della moda e delle auto, il nostro prodotto di punta all’estero è proprio il nostro stile di vita, ciò che viviamo, dove viviamo e cosa rappresentiamo, un prodotto dal valore incalcolabile e al di sopra di ogni legge di mercato. Essere italiani per il resto del mondo è più che un valore, tanto che negli stessi Stati Uniti le comunità di immigrati italiani sono fortissime e con un codice ben preciso, non mancando mai occasione di far sapere a chiunque di avere origini nel bel paese anche dopo svariate generazioni. Tutta questa ammirazione, sia sotto l’aspetto di quantità e di tempo, ha portato l’italianità in giro per il mondo intero che ha di conseguenza unito le sue culture alla nostra facendone una reinterpretazione propria, diversa dalla sua origine. Il Venetian, sin dalla sua apertura, è stato fortemente criticato da chi a Venezia ci vive e lavora: sono infatti continue le lamentele e dissapori nei confronti dell’hotel da parte di circoli culturali, associazioni tra commercianti, albergatori e gondolieri e persino dall’ex sindaco della città Massimo Cacciari che ha definito la struttura come un “mega-galattico esempio di kitsch”. 


Quanto la riproduzione della propria inconfondibile ed inimitabile città li abbia colpiti o feriti, non è incomprensibile o tantomeno da biasimare, ma credo che si debba tenere conto del valore inestimabile abbia l’originale oltre che tutta la cultura italiana e di come, anche quando si parla di turismo, visite e guadagni, le risorse che possediamo nel Bel Paese non siano paragonabili a nessuna copia. Data la diversità di intenti e risultati, forse ingenuamente, trovo nelle copie dell’Italia in giro per il mondo che siano cibo, architettura e stile di vita ci sia solo ammirazione, rimaniamo consapevoli delle nostre qualità e valori. Quello del Venetian e in generale dell’interpretazione della nostra identità culturale nel mondo è da sempre un tema scottante, tra chi si offende e chi, più apertamente, trova un’occasione di educare alla verità - tutto nei limiti del buon senso e degli aspetti più pop della nostra cultura. La “gelosia” che si prova verso una cultura e un’immagine così ben codificata come la nostra è comprensibile, come qualsiasi artista è geloso delle sue opere più riuscite; non bisogna dimenticare però che l’esportazione di ciò che siamo, prodotto e immagine,  dopo decenni di globalizzazione è diventata parte integrante della nostra identità e, da non sottovalutare, anche della nostra economia. Non c'è dunque molto da stupirsi se il mondo ci conosce e ci imita, ma non lasciamoci illudere o irrigidire di fronte a quella che potrebbe sembrare una minaccia, perché così non è. Non urliamo alla bestemmia culturale o ad una dichiarazione di guerra letta tra le righe, non è necessario rischiare un infarto ogni volta che si vedono spaghetti con le polpette o si sente Super Mario esclamare “mamma mia!”. Per una volta dunque cerchiamo di essere meno bacchettoni, spegniamo l’interruttore di superiorità storica e orgoglio culturale che tutti noi abbiamo e lasciamo spazio a una critica onesta e oggettiva del fenomeno, figlio della globalizzazione e dell’amore che il mondo intero prova per il nostro paese. In fondo ci sarebbe solo da andare un po’ più fieri dell’essere italiani e della reputazione di cui godiamo nel mondo, anche solo la metà di quanto vorrebbero esserlo tutti gli altri. 


9 giugno 2025, Samuele De Marchi

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