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Spazio Architettura

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Le trasformazioni degli spazi e dei segni di Silvia Bortolini

di Vincenzo Casali

Silvia Bortolini, argentina, è architetto e vive e lavora a Venezia. Si laurea sia alla (FADU) Universidad de Buenos Aires, dove ha svolto la prima parte del suo lavoro e della sua ricerca, che allo IUAV di Venezia.

Entrambe le case che vengono presentate qui si trovano in contesti storici e raccontano la trasformazione di luoghi carichi di segni con i quali Silvia Bortolini intende confrontarsi.

 

La casa a Lovadina di Spresiano (TV) si sviluppa al primo piano di una barchessa del ‘600, parte di un insieme di costruzioni che, disposte l’una accanto l’altra, guardano la strada, la piazza e la chiesa da un lato, e dall’altro la campagna.

In origine era un oleificio con il deposito dei materiali al primo piano.

Una volta liberato, lo spazio si presenta continuo e scandito dalla presenza di quattro pilastri in muratura al centro dell’ambiente. I muri sono ad intonaco, la copertura è tradizionale a due falde con travi in legno e tegole a vista e il pavimento è in tavole di larice.

 

Il progetto riguarda una casa studio: lo spazio viene organizzato intorno alla scala d’ingresso centrale, che viene progettata a vista e racchiusa in un serramento di acciaio nero, con la composizione di due tipi di vetro: bianco e trasparente.

Questo percorso distribuisce due diversi ambienti: un unico grande spazio occupato dall’abitazione e dall’altra parte lo studio. E’ un lunghissimo soggiorno ad unire questi due spazi, dove tutto tranne i servizi e le camere da letto è aperto e senza alcuna interruzione.

La natura del luogo, che ha affascinato tanto chi ha comperato la casa, quanto Silvia Bortolini che ne ha progettato il riuso, resta intatta e ancor più caricata dalla scelta di organizzare la cucina a giorno ad un estremo e il soggiorno all’altro. Uno spazio continuo collega la cucina alla sala da pranzo, prosegue nel soggiorno per trasformarsi poi in sala di posa del proprietario, il fotografo Andrea. A.

La seconda scelta, altrettanto radicale, è che tutto sia sostenuto dal bianco: la continuità del pavimento in tavolato di rovere - sbiancato e graffiato -  la vista senza interruzioni delle travi lasciate a vista e dipinte di bianco.

Bianchi anche gli arredi a parete: una lunga serie di librerie -illuminate internamente con led strip- e armadi in legno, tutti autoportanti e sollevati da terra dieci centimetri. A sottolineare il bianco c’è il suo opposto, il nero, dosato con altrettanta decisione: il corridoio che porta alle camere ha un gioco di alternanze nero/bianco. Le camere da letto hanno bagni con ripiani e pavimenti in resina bianca mentre il lavandino è in pietra lavica nera.

 

Il pezzo, scultoreo, che occupa con più decisione la scena è un grande tavolo da pranzo, costruito con un'unica tavola a sbalzo di legno di ciliegio massiccio, alta otto centimetri e squadrata ai bordi per esibirne la bellezza. E’ lunga ben cinque metri ed appoggia su una sola estremità , in corrispondenza di un armadio basso per le pentole: c’è il trucco, ma non si vede.

 

Il progetto per la seconda casa è un esercizio di stile. Un piano terra a Venezia, senza nessuna particolare caratteristica spaziale o formale. Silvia Bortolini elimina quindi tutto il possibile per poter iniziare a re-immaginare come rendere seducente un luogo che all’inizio sembra non avere alcuna possibilità.

Anche qui, come a Lovadina, sceglie di mantenere tutto il necessario lungo il perimetro dello spazio: questo consentirà di poterne usare di più. Dipingere di bianco l’intero contesto, per renderlo più astratto, per poi caricarlo di un’importante presenza: un pavimento in pastellone rosso veneziano.

La camera da letto si solleva di poco, con due gradini, ed è tutta contenuta dal suo stesso pavimento in rovere. La cucina è dentro ad un mobile con ante traforate e scorrevoli. Le luci sono dosate per fare di questo spazio un luogo inusuale, inaspettato e contemporaneamente immediatamente gradevole. Un piccolo capolavoro.
 

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