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THAT’S AMORE

“THAT’S AMORE” è la nuova rubrica a cura di Samuele De Marchi che inizia un racconto arbitrario forse, ma senz'altro originale e inconsueto su alcuni elementi del costume e della cultura italiana, cercando di affrontare specialmente quelli peculiari ed autoctoni della nostra identità.

Un particolare punto di vista che vuole esplorare e comprendere la loro natura, profondità e origine in maniera critica ma serena, con rispetto e massima curiosità in un'era così eclettica com'è quella della globalizzazione .

Tenendo sempre presente che, in qualunque modo appaia e si manifesti, esportare e diffondere cultura italiana è un privilegio, ma inevitabilmente comporta sfide e azzardi di chi la reinterpreta e ne è, a modo suo, ammiratore.


IL NERO: IL BRACCIO DESTRO DELLA CREATIVITÀ


di Samuele De Marchi












È disseminato tra gli abissi dello spazio, paradossale visualizzazione cromatica del nulla, sconfigge la legge di Lavoisier secondo cui “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” come una divinità a sé stante. Se ne frega della velocità della luce e della sua importanza. Un lupo solitario solido ma malleabile, coraggioso e vile, ammaliante e ripudiato, rassicurante e minaccioso. Unico in quanto inviolato dalla definizione scientifica di colore, tanto da essere definito quotidianamente il “non-colore”.

Sua maestà, il nero.

Non credo di aver esagerato con gli epiteti e nemmeno con i controsensi, che si ritrovano costantemente tra le arti e tra le storie: i numerosissimi significati del nero esistono in tutti gli angoli dell’umanità, in cambiamento e in evoluzione proprio come quest’ultima. È come se questo colore fosse composto dallo stesso brodo primordiale da cui nasciamo, la casa del big bang che ha generato l’universo, l’origine di tutto.



L’uomo ha sempre voluto appropriarsi dei poteri mistici del nero attraverso l’arte e l’abbigliamento, ancora prima che questo diventasse moda.

Gran parte del suo fascino, ha sicuramente a che fare con la proprietà di essere il contrario della luce: molti studi sono nati chiedendosi perché si indossa così tanto il nero? Cosa prova e pensa il portatore e cosa fa pensare di sé? Sulla concezione e visione dal punto di vista psicologico e comportamentale, le sue qualità portano ad effetti e sensazioni diametralmente opposte, ma in tutti i casi apprezzate ed efficaci.

Chi indossa il nero appare come affidabile e serio, con la volontà di sembrare una certezza, inossidabile - e guarda caso proprio di colore nero -  come il monolite di 2001: odissea nello spazio. Questo effetto è utile sia per il portatore che per chi lo circonda: stimola a trovare autorità, a dare quel grado in più di grinta e determinazione in moltissime occasioni. Nello stesso modo, chi si rapporta con un individuo vestito totalmente di nero lo percepirà come un rassicurante punto di riferimento, sentendosi protetti e nelle mani di qualcuno di cui ci si può fidare. Può in effetti sembrare stupido, ma in molte arti marziali il nero è il colore che rappresenta il più alto grado di abilità, il colore dei maestri, il simbolo di un immaginario piedistallo raggiunto dopo fatica e disciplina sia fisica che mentale; la garanzia della possibilità di insegnare e condurre viene affidata al più unico e riconoscibile dei colori. La stessa virtù la possiede quando indossato dalle élite militari e dalle forze speciali durante le missioni più delicate: a questi corpi - non uso a caso il termine - viene data in mano tutta l’aggressività del nero per operare di notte e nei momenti in cui si fa sul serio, l’opportunità di agire con la sicurezza di essere i padroni della situazione, in cima alla catena alimentare, colpendo ancora prima di essere visti. Il nero è la tinta per eccellenza delle uniformi in altre molteplici professioni: dai camerieri, ai giudici, fino agli stessi stilisti che spesso indossano look neri monocromi nelle apparizioni pubbliche, con lo scopo di rendere riconoscibili tra di loro gli addetti ai lavori e allo stesso tempo separarli dal resto delle persone.

Il nero diventa il colore perfetto quando è il momento di focalizzarsi su altro, mentre non si vuole essere disturbati durante qualsivoglia attività o momento.

Il “nero lavoro” è ciò di cui si fece portavoce mademoiselle Coco Chanel e il suo minimalismo; ispirandosi alla funzionalità della macchina e delle automobili - nello specifico la Ford Model T, prima auto costruita in serie, rigorosamente in nero - , il colore che caratterizza l’iconico Little black dress non poteva non caricarsi di messaggi di austerità, concentrazione libera da distrazioni e guizzi colorati, duro e serio impegno. Il nero abbracciato alla cravatta, altro vessillo del mondo lavorativo, è il fulcro della collezione autunno-inverno 2023/24 di Maison Valentino proprio dal titolo “Black tie”, in cui si ricordano i messaggi dati dai colori e dagli abiti nella loro visione più intrigante.

L’influsso psicologico del nero infatti non si ferma qui: assieme queste qualità, è innegabile come il nero trasmetta allo stesso tempo sentimenti di fugacità, misteriosità, potere e seduzione.

Vogliamo anche per un residuo di significato storico, il nero era indossato dalle classi sociali più ricche in quanto pigmento difficile e costoso da ottenere e applicare, diventando indicativo di status sociale e posizione gerarchica. Allo stesso modo, quando indossiamo questo colore ci sentiamo eleganti, inavvicinabili e per questo desiderati, premi e predatori allo stesso tempo. L’esclusività e lo status non si esprime solo attraverso il vestiario; anche gli spazi e strumenti di vita, se neri, assumono un aspetto di ricercatezza e ricchezza: appartamenti, arredamenti, automobili e persino le carte di credito guadagnano allure di intoccabilità grazie al colore che li riveste.

Il nero è tutt’altro che vigliacco e anonimo: senza tornare a disturbare le alte cariche ecclesiastiche e nobili del passato ma rimanendo nelle piazze di giovani dissidenti e minoranze, questo colore è indossato da bastioni controculturali per tutta la seconda metà del Novecento: per punk, goth, “metallari”, gruppi politici estremisti fino al “Black Panther Party”, movimento rivoluzionario afroamericano, il nero è ancora una volta il colore del “contro”, dell’ “anti” qualcosa, il colore della trasgressione e del proibito in night club e dei passatempi lontani dal sole dei benpensanti. Inizio a dubitare che sia un caso, o che sia perché non avevano nulla da mettersi. 

Non si parla dunque soltanto di utilità pseudo-pratica e di influenza comportamentale. Il nero è talmente radicato nelle abitudini e nelle storie dell’uomo da diventare parte fondamentale di usi e costumi: impossibile non pensare in primis al nero indossato durante i funerali. Il nero del lutto nei paesi occidentali è tra le forme più alte di rispetto di cui questo colore si fa carico, esprimendo la volontà di non dare nell’ occhio e grande umiltà. Al contrario, è una delle tinte da evitare categoricamente ai matrimoni come segno di buon auspicio e fortuna futura. Proprio parlando di fortuna ed al di là del credere o meno alle superstizioni, chiunque conosce il presagio di sventura quando un gatto nero attraversa il nostro cammino o un corvo veglia da un ramo sulle nostre teste, e il loro significato risale all’ immaginario antico della magia oscura, delle streghe e dell’occulto. Perché nonostante le potenzialità positive del nero, è innegabile quanto invece la sua accezione negativa sia conosciuta e diffusa al pari se non di più rispetto a quella positiva: riprendendo proprio il discorso dalle superstizioni e credenze popolari, tanta tradizione, narrativa, folklore e letteratura si è vestita del colore della notte per impressionare e spaventare, trasformando il nero nell’ allegoria dell’inquietudine e del pericolo. I bambini hanno paura dell’ “uomo nero” che li viene a prendere, guarda caso di notte, se non fanno i bravi; il nero è il colore del pirata e del ladro dei cartoni animati. Da notare molto bene però, che nonostante l’intenzione sia di far da repellente, non varia ma bensì accresce il fascino del nero, complicandolo positivamente ed espandendo la sua aura di utilizzo e di significato culturale.



Per dare una sentenza a quanto detto, il nero ha come minimo comune denominatore la proprietà di nascondere, e come due gemelli identici ma separati alla nascita, gli stessi effetti e la stessa storia che il nero ha nella moda, la ritroviamo anche nell’ arte: fu uno dei primi ed unici colori a poter essere utilizzati, ricavato dalla fuliggine e dai carboni, per le pitture rupestri quando l’uomo quasi non era ancora tale. Assume significati misteriosi, sacri e profani nell’ arte religiosa, per poi sparire durante l’impressionismo, esiliato dagli artisti in quanto non presente nella natura da loro rappresentata. Sarà però molto presente nell’ epoca contemporanea, data ora la vicinanza col mondo artificiale e dei readymade che non solo sfrutteranno il suo potere decorativo, ma gli daranno senso anche sotto la lente della concettualità utilizzando il nero come colore delle stampe e delle serigrafie prodotte da macchine industriali per prodotti industriali. I futuristi  al contrario non vorranno averci nulla a che fare con il nero, d’altronde essendo l’ assenza della luce, prendono le parti proprio dell’ entità più veloce mai esistita. Vedono questo anti-colore come funereo, noioso, statico e polveroso, opinione ricca di prove date dall’ abbigliamento maschile dell’ epoca, sempre scuro e classico.

Nei recentissimi anni invece, chi farà parlare di più sarà la quintessenza del nero e il suo possessore, l’ artista Anish Kapoor. Non serve essere del mestiere per conoscere la crociata che va contro di lui da quando ha comprato i diritti artistici per il Vantablack, un materiale composto da nanotubi di carbonio in grado di assorbire il 99,9% della luce e inizialmente creato per utilizzo scientifico e aerospaziale.

Per molti, acquisirne l’utilizzo esclusivo in campo artistico è stata una mossa da vigliacco, limitando la libertà di espressione menomando le risorse disponibili, di un prodotto tra l’altro dagli effetti incredibili.

A riguardo penso in realtà che ci sia un po’ dimenticati di quanto artisti e creativi in generale abbiano fatto di alcuni colori la propria firma: dal giallo di Van Gogh fino all’ IKB di Yves Klein, e nella moda proprio il “nero più nero di una notte senza stelle” di Balenciaga o il rosa shocking di Schiaparelli. Non fatico a immaginare la gelosia di questi personaggi nei confronti della loro firma, ma a mandare il mondo su tutte le furie è stato il fatto che Kapoor abbia usato lo sporco e vile denaro per impossessarsene, e guai a chi prova solamente a dire la parola “soldi” o ancora di più a farne buon uso con un investimento in un materiale peraltro non pensato dall’ arte e per l’ arte. Certo, potrebbe essere stato più imprenditore che artista, ma anche in questo caso verrà detto “allora potevo farlo anche io”.


Quella contro il nero è una polemica “passivo-aggressiva”: nessuno ha mai firmato una dichiarazione di guerra immaginaria e poetica, ma chi non lo apprezza e lo discrimina è molto più comune di quanto pensiate. Una battaglia persa in partenza contro un colore-significato troppo più grande di noi come utilizzo sia pratico che ideologico in qualsiasi accezione dal positivo al negativo, oltretutto creata proprio dalle nostre società in anni e anni di storia. E se da un lato c'è chi lo addita come il colore di chi non è creativo, di chi vuole e si vuole nascondere, dall’ altro c’è chi lo sottovaluta non considerando quanto il nero abbia formato la cultura e personalità collettiva.

C'è qualcosa di innato e potentissimo in noi che ci attira verso il nero come l’ oro fa per una gazza ladra, un enigma della natura inspiegabile ma da cui non riusciamo proprio a separarci, ancora di più se pensiamo di che colore sono le nostre stesse ombre.


Bologna, 20 giugno 2024

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