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THAT’S AMORE


“THAT’S AMORE” è la nuova rubrica a cura di Samuele De Marchi che inizia un racconto arbitrario forse, ma senz'altro originale e inconsueto su alcuni elementi del costume e della cultura italiana, cercando di affrontare specialmente quelli peculiari ed autoctoni della nostra identità.

Un particolare punto di vista che vuole esplorare e comprendere la loro natura, profondità e origine in maniera critica ma serena, con rispetto e massima curiosità in un'era così eclettica com'è quella della globalizzazione .

Tenendo sempre presente che, in qualunque modo appaia e si manifesti, esportare e diffondere cultura italiana è un privilegio, ma inevitabilmente comporta sfide e azzardi di chi la reinterpreta e ne è, a modo suo, ammiratore.


IL FOULARD, L’ACCESSORIO INDOSSATO DA TUTTA ITALIA


Di Samuele De Marchi











Sulla Regina Elisabetta II, su una attrice hollywoodiana in vacanza sul Lago Maggiore o sulla nonnina in bicicletta in fila alle poste, ci sarà capitato di vedere almeno una volta nella vita un foulard portato in testa, chiamato volgarmente “foulard da nonna”. Si tratta di un accessorio universale e “babilonico” - il suo nome più comune è infatti “babushka” e deriva dal russo “nonna” o “donna anziana” - . Al pari di pizza pasta e mandolino, è un elemento iconico della cultura italiana partendo dal nord, dove è un componente di vestiti tradizionali tirolesi e ladini fino ad arrivare al sud, in cui riadattandolo diventa protagonista di balli folkloristici come la pizzica salentina.

Nonostante la premessa sulla sua diffusione e notorietà, il suo significato e carica culturale rimangono spesso indefiniti, mai analizzati e nascosti sotto gli occhi di tutti. 

Il foulard viene spesso integrato nei regimi stilistici denominati “old money”, ossia carichi del fascino di una ricchezza d’altri tempi, classica, raffinata, che sfila sui prati dei campi da golf o in parata su auto d’epoca. In questa accezione il foulard diventa indicativo solitamente di una donna ricca, potente e a volte famosa, quindi strumento assieme a un paio di grossi occhiali da sole per nascondersi dai paparazzi o da sguardi indiscreti, magari per non essere disturbate o riconosciute durante le proprie vacanze. Questa pratica di nascondersi porta di conseguenza anche ad un mistero seducente ed attraente da femme fatale. Si parla dell’immaginario felliniano della dolce vita, della Cinecittà degli anni Cinquanta e di alcune star del cinema del passato come Audrey Hepburn, Grace Kelly o le nostrane Sophia Loren e Gina Lollobrigida, dive che con la loro eleganza seducente e femminilità hanno reso il foulard l’accessorio perfetto della “signorina per bene”. Il fascino esercitato sul pubblico dell’oggetto e da questo stile di vita un po’ nostalgico, esclusivo e per questo estremamente affascinante hanno portato le maison di moda e i trend a riproporre spesso il foulard, e tra gli esempi più recenti spicca Alessandro Michele con Gucci e la sua cristallina ispirazione al mondo vintage. Se si parla dunque di moda e di prestigio, è impossibile non nominare il marchio che con tutta probabilità ha dato vita alla concezione di foulard come statement di ricchezza, dello stile di vita descritto poco sopra e del suo significato più pop: è alla fine degli anni Trenta infatti che Hermès inizia a produrre e vendere i suoi foulard carré novanta per novanta centimetri, dalle stampe coloratissime e quasi barocche. Il successo per la maison è immenso - il loro prodotto sarà il preferito della Regina Elisabetta II, alla quale il marchio dedicherà un’edizione limitata - e lo è anche quello del foulard di per sé, tanto che Salvador Dalì e Henri Matisse lo useranno come supporti per la propria arte surrealista. Oltre ad essere la tela di intricatissimi ricami e dettagliatissime stampe tanto da raggiungere lo status di arte stessa, il foulard è presente da così tanto tempo nella vita quotidiana da diventare altrettanto partecipe nell’arte: quest’ultima si fa testimone delle pratiche ed abitudini quotidiane delle epoche in cui notiamo proprio un omogeneità di utilizzo dell’accessorio nell’arte che va dal Cinquecento fino al Novecento, con esempi del calibro della Mona Lisa con il suo velo nero sulle spalle, la Ragazza col turbante o la Lattaia di Vermeer, fino alle decorazioni sulla testa di Frida Kahlo nei suo autoritratti.



Da emblema di vita agiata e nostalgia del passato si passa ad un utilizzo più funzionale e popolare proprio nel senso di “appartenente al popolo”: l’altro caso più comune di immaginario e di status del foulard è infatti accomunabile alle signore anziane di tutta Italia: la sua importanza in queste circostanze sta in una funzione antichissima di protezione della testa contro sporco, sole ed intemperie durante il lavoro nei campi; d’altronde la parola “foulard” deriva dal francese “foular”, un processo di lavorazione per rendere il tessuto più resistente. È quindi inopinabile la provenienza dal mondo del lavoro dell’oggetto. In questo contesto è però in modo molto più affascinante anche un simbolo pratico di una censura fisica; al contrario della seduzione vista nell’esempio precedente, in questo caso coprire i capelli - e la pelle in generale - era un simbolo di umiltà, tanto che le donne sposate erano le sole a coprirsi il capo a suggerire la loro fedeltà - non a caso, anche le suore portano un velo sopra la testa, seguendo un principio simile - . La signora con indosso il foulard carico di tutti i significati che abbiamo visto in questo esempio assieme alle soleggiate strade in pietra di piccoli paesini in Sicilia, sono diventate le cornici perfette per Dolce & Gabbana, dando l’idea di un’Italia rurale e sperduta fatta di province e fatiche, di pelli bruciate dal sole del Mediterraneo.

È importante fare una menzione anche per l’utilizzo del foulard da parte degli uomini, anch’esso trascendentale dello spazio e del tempo. Come è solito notare nel mondo della moda, anche in questo caso l’origine sta nell’utilizzo pratico e funzionale dell’oggetto, mentre al giorno d’oggi viene impiegato in modo meramente decorativo; ciò che è importante notare è che accanto all’uso come sciarpa o “ascot”, l’uomo lo impiega secondo gli stilemi della moda femminile annodato sotto al mento o come bandana, incorporandolo e adottandolo a tutti gli effetti nell’armadio genderless.

Allargano la famiglia dei foulard i colori, le dimensioni e i materiali: il tessuto utilizzato incide sul costo, ed è dunque indicativo del ceto sociale d’appartenenza della portatrice; le donne più ricche solitamente indossavano foulard di seta o di pizzo, mentre per le classi più umili il materiale più diffuso erano filati come cotone e, dalla metà dello scorso secolo ad oggi, il poliestere. Il colore e la dimensione vincolano a modo loro il contesto di utilizzo, dal punto di vista simbolico per il primo, in modo più pratico il secondo. I colori seguono il loro significato culturale presente generalmente nell’abbigliamento, di conseguenza il nero e i colori scuri diventano adatti e riservati alle celebrazioni religiose o ai lutti, mentre le nuance più vivaci sono consentite ed apprezzate in ogni altro contesto mondano e giornaliero. La dimensione diventa indicativa dell’utilizzo decorativo che si fa dell’oggetto: i più grandi, tra cui quelli di Hermés citati poco sopra, permettono di essere portati sul capo e sulle spalle, creando una linea morbida e rilassata. I più piccoli invece, possono essere legati alla borsa, alla cintura o al collo per rinfrescare il look, o come facevano le nostre nonne in modo incredibilmente old school, come fazzoletto multiuso infilato nella manica della maglia.

Gli scenari descritti finora mostrano gli stessi minimi comuni denominatori: in prima istanza, nonostante le innumerevoli proposte da parte dell’industria della moda, il foulard non si scrolla di dosso la sua inossidabile aurea vintage o di richiamo al passato. L’accessorio è decisamente intramontabile in un modo o in un altro, e questo non fa altro che tenere ben saldo nell’immaginario comune la sua presenza estetica e il suo significato.

Come secondo effetto, forse più nascosto e inconscio, il foulard trasmette messaggi di chiusura e di distacco, come se la portatrice ci dicesse di non voler essere disturbata, nascondendo i contorni del volto ed i capelli in un sottile strato di stoffa. Perché in vacanza, di ceto sociale più alto, perché si sta lavorando o perché si è già sposate non importa, la volontà è quella di creare distanza, e il foulard in ciò assume il ruolo di barriera protettiva. L’elemento più affascinante di questa pratica è proprio la sua silenziosissima loquacità, molto spesso capita e condivisa senza neanche rendersene conto. 



Tutto questo significato e peso culturale è forse ciò che rende il foulard un piccolo, denso, ma soprattutto dolceamaro simbolo di italianità; perché sì, le nostre storie fanno invidia al mondo intero, ma chi vive e conosce culturalmente il Bel Paese non può non accorgersi dei limiti e della tendenza di chiusura che le tradizioni portano. Il nostro patrimonio culturale di pratiche  ed estetiche dev’essere certo valorizzato, ma non a tal punto da non lasciar spazio alla novità o al cambiamento. Sembra quasi che a volte la cultura italiana venga presa un po’ troppo sul serio, quando viene esportata allora “non è davvero italiana” mentre quando è importata “no, in Italia abbiamo di meglio”. Sia ben chiaro, il senso di vera e propria gratitudine provata quando mi accorgo della bellezza del mio paese è impagabile, tanto da fare un patto col diavolo stesso per esserne rappresentante o quantomeno testimone, ma   invito gli italiani ad essere solo felici della propria cultura e origini senza vivere come Mr. Scrooge in A Christmas Carol. E perché no, assaggiatela questa pizza con l’ananas, non prenderà fuoco il tricolore, vi do la mia parola.


16 febbraio 2024, Samuele De Marchi

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