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RIFLESSIONI SUL SISTEMA CULTURA

di Anna Rubbini



In questo inizio d’anno, quello che mi ha portato a condividere con voi alcune idee sull’importanza di ripensare la cultura come un mestiere e non un accessorio, è l’estrema difficoltà nel trovare vicinanza, sensibilità e convincimento dell’importanza di questo settore, in particolare rinvenire condivisione d’intenti con chi intende realizzare un progetto culturale, di qualsiasi natura letterario, artistico, fotografico, musicale … E questo è tanto più vero se si cerca il patrocinio, oneroso ovviamente, da parte delle Istituzioni.

Molti sostengono che questo problema è dovuto alla scarsa professionalità da parte dei referenti del mondo della cultura che trovandosi di fronte alla richiesta di sostegni agli enti pubblici, non hanno sufficienti competenze nel presentare progetti che contemplino un ritorno. Probabilmente in parte questo è vero, molti rappresentanti di questo settore vivono ancora in un mondo idilliaco, hanno un approccio passionale e idealista, per non dire bohemién, della motivazione che soggiace alle pratiche artistiche.

Ma questo può essere stato vero negli anni della prima repubblica, ovvero gli anni ’90 in cui il progresso e la ripresa economica lasciava ben sperare a che non rivivessimo più anni di austerity, periodi talmente tristi che anche la cultura del passato riproduceva le stesse difficoltà sociali e politiche, proiettando sottotoni in ogni suo ambito.

Tuttavia, il mondo della cultura continua tuttora a fornire indicazioni che, per quanto possano essere pienamente condivisibili, risultano spesso irrealizzabili all’interno di un panorama realistico.

Proporre programmi e documentazioni in cui si sottolinea l’importanza della cultura e la necessità di avviare delle soluzioni pubbliche a sostegno della stessa, in modo del tutto generalista, privi di indicazioni puntuali su come ottenere risultati di ritorno economico, che interessa agli organi statali più di qualsivoglia ritorno d’immagine, di incremento di posti di lavoro, di ampliamento del bacino di utenza e di promozione dell’indotto al segmento, significa porsi nei panni di un giocatore del superenalotto.

Insistere nel chiedere supporto alle strutture istituzionali, che non sono altro che le portinerie della politica, presentando un elenco di bisogni da soddisfare è anacronistico ed è tempo sprecato.

Lo è tanto più oggi che le condizioni economiche sono radicalmente mutate, ma soprattutto perché non è più possibile interfacciarsi a dette strutture senza presentare progetti e richieste di ausilio, almeno vagliati, se non anche rappresentati, da professionisti in grado di esporre previsioni economico finanziarie, dettagliate e tempificate, a breve e lunga scadenza, nei ritorni economici dell’investimento richiesto, sia esso sotto forma di finanziamento che solo di occupazione di spazio pubblico.

In sostanza, i referenti della cultura devono eguagliare quelle figure politiche che andranno a prevedere le coperture alle loro richieste.

Oggi è necessario scontrarsi con le previsioni finanziarie delle “politiche amministrative” – e volutamente non dico con le amministrazioni - senza più poter contare su disavanzi; questi purtroppo non sono più raggiunti né, dunque, disponibili, vuoi per il mutare dei tempi e dell’economia mondiale, vuoi perché le difficoltà nei rapporti tra politica e mondo della cultura perviene ad un cortocircuito di intenti e di interessi.

Secondo logica e buonsenso, pensare di definire delle indicazioni che permettano a chi ci governa di comprendere quali siano le priorità, e come perseguirle, in ambito culturale, potrebbe essere la strada giusta per arrivare alla soluzione di questa empasse.

La cultura e la necessità di avviare delle soluzioni pubbliche a sostegno della stessa: ma in che modo perseguire questo risultato?

… Sinceramente non penso vi sia un'unica strada, certo è che il comparto degli addetti alla cultura non sono coesi, non riescono a far fronte comune e al contempo non esiste una istituto unico - una sorta di collegio – che assuma al suo interno professionalità tali da essere sfidanti verso lo Stato anche con competenze economico finanziarie e comunque in grado di offrire margini di intervento in cui lo Stato potrebbe diventare di sostegno quale sponsor economico.

Ci tengo inoltre ad evidenziare quanto attualmente, e particolarmente in ambito culturale molto più che in quello imprenditoriale, ci sia una propensione al “giovanilismo” in tutto e per tutto, quasi fosse una nuova corrente anziché un dato meramente anagrafico: largo ai giovani e accanto a loro spazio ai grandi maestri del passato; non si capisce perché rimangono fuori i tanti degnissimi altri che stanno maturando il loro lavoro attraverso esperienze e competenza; che stanno affinando il loro talento, la loro preparazione, la loro consapevolezza e tutto quanto determina l’identità culturale di un artista. Presentare un progetto con una rassegna di professionisti non giovani o non storicizzati è molto faticoso, sia in termini di attenzione che di supporto pubblico.

Paradossale, inoltre, constatare che la politica, inclusi i suoi apparati amministrativi, ragioni considerando solo chi ha peso equivalente: se la domanda perviene da chi è in grado di garantire consenso, in termini anche numerici, alla direzione del sistema non se ne verrà mai a capo. La politica presta attenzione a chi – privati, associazioni, imprese- ha peso “politico”, ovvero rappresenta interessi di grandi numeri di affiliati.

Purtroppo però, come dicevo sopra, la cultura non può contare sulla coesione, piuttosto il contrario.

I rapporti tra comparto culturale e settore pubblico è un paradosso che, non può essere risolto con gli attuali mezzi a disposizione del primo segmento.

La spinta all’emancipazione del sistema cultura a livello d’impresa ha il passo lento, ma se questo è l’indirizzo del settore creativo siamo sulla strada giusta per rendersi indipendenti dalle maglie politiche e burocratiche. Altro discorso, aperto e di difficile mutamento, è la tendenza ideologica di grande parte dei fautori della cultura giovanilista.

Questo ipoteticamente rimane vero e possibile sempre se - o solo fino a quando - ci saranno ancora risorse disponibili, prima che perseverare in investimenti culturali non mirati induca alla chiusura delle casse dello Stato, ed alla conseguente implosione del settore della Cultura.


10 febbraio 2022, Anna Rubbini

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