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INTERVISTA A STEFANO CAGOL, DIRETTORE ARTISTICO DI CASTEL BELASI


di Alice Rubbini


Stefano Cagol e Alice Rubbini all'inaugurazione di "Come Pioggia"











Dalla tua mostra personale “Il fato dell’energia” del 2022 alla direzione artistica di Castel Belasi, nemmeno un anno dopo. Cosa ti ha spinto a pensare, o ad accogliere, questo invito a coprire questo incarico? O ancor di più a metterti in gioco con questa posizione? O possiamo invece leggere la tua posizione di Direttore artistico come parte di una tua opera d’arte che si concretizza nel tempo?

La mia personale dello scorso anno, a cura di Emanuele Quinz, prodotta da APT Val di Non, ha avuto un precedente che ha reso fin da subito chiara la vocazione di questo magnifico castello: quando ho visitato per la prima volta il maniero, c’erano opere di Richard Long e Hamish Fulton, arte, natura, cammino. Meraviglioso. Provenivano dalla Panza Collection con la curatela di Jessica Bianchera, Pietro Caccia Dominioni e Gabriele Lorenzoni.

Long precedette anche la mia personale in un museo nel 2000, al Mart, allora con sede a Palazzo delle Albere a Trento, dove venni invitato appena trentenne da Gabriella Belli nella dirompente serie di personali “Contemporanea”, seguito da un eccezionale Rudolf Stingel. Artisti come Richard Long non ti lasciano. Oltre a ispirarmi, continua a portarmi fortuna.

Nei miei progetti è importante il processo, spesso sono multi-formi, multi-sito, transnazionali, ampi, composti da molteplici aspetti che esulano dall’opera d’arte oggettuale, e diventano diari, azioni, un furgone che staziona davanti a simboli della nostra cultura, inni, bandiere al vento, luci che si allungano sul paesaggio, momenti partecipativi in cui le stesse strutture istituzionali ospitanti vengono messe in discussione. Le regole d’ingaggio non sono rigide. Per me l’arte è comunicare a un pubblico più ampio possibile. È quindi naturale che questo mio metodo si spinga fino al coinvolgimento di altri artisti. Questo approccio ha preso forma sostanziosa nel progetto “We Are the Flood” che ho creato e curo da un anno al MUSE Museo delle scienze di Trento, dove abbiamo innescato una vera e propria valanga: open call, mostre in diversi luoghi, performance, masterclass, il primo artist in residence di MUSE, la produzione di nuove opere, tutto già raccontato in un libro di Postmedia. Arte e scienza insieme per riflettere sulle questioni urgenti dell’Antropocene. Puntando sul dialogo, il fare comunità, l’agire a basso impatto e con grande fattività e velocità. A Castel Belasi come direttore artistico porto questo approccio.


Da sempre la tua linea concettuale segue le problematiche ambientali. Va da sé che il tuo programma seguirà questa prospettiva. Puoi descrivere il percorso che farai, ovvero il tuo progetto culturale che ha fatto sì che tu coprissi questo ruolo. Sappiamo già che hai scelto di suddividere l’impostazione in tre sezioni: piano terra gli Under 35 in una project room a loro dedicata, nel primo piano la fotografia, in collaborazione con l’Archivio Fotografico Storico Provinciale di Trento, ed infine, al terzo piano la contemporaneità visiva internazionale, con dei progetti dedicati. Nel dettaglio come si configurano le tue proposte?

Castel Belasi vuole essere un hub di pensiero e pratica artistica di respiro internazionale sulle urgenze ambientali attuali. Questo non possono permettersi di farlo con continuità i grandi musei granitici. A questi temi possono al massimo dedicare un progetto espositivo per poi proseguire con altro. Castel Belasi, invece, si presenta come un luogo ideale dove perseguire questi obbiettivi. Prima di tutto parlare di questioni dell’Antropocene in un luogo che un tempo è stato roccaforte di difesa e offesa e ora diviene luogo di cultura è significativo. Inoltre farlo fuori dai grandi centri, nel mezzo della natura, con le Dolomiti di Brenta alle proprie spalle, aggiunge valore.

Sotto questo orientamento, possiamo proporre un programma culturale plurimo perché questo maniero fortificato con torre pentagonale e numerosi affreschi del Quattro e Cinquecento giunti fino a noi presenta molteplici spazi espositivi grazie a un intelligente intervento di restauro. Qui il programma può essere ampio e continuativo. Il problema di monumenti storici di questo tipo, di solito, è divenire un bell’involucro per mostre occasionali, ma qui la visione dell’ente territoriale padrone di casa – il castello è comunale di proprietà del comune di Campodenno – è stata chiara fin da subito, come conferma anche la mia nomina a direttore, in un momento storico in cui vediamo persino grandi musei che pensano di bypassare la figura del direttore. Numerose sono poi le collaborazioni con altre istituzioni con cui s’interagisce per la produzione delle mostre e degli eventi, tra cui il MUSE Museo delle scienze di Trento, la Soprintendenza per i beni culturali, l’Università di Sociologia, Trentino Marketing. Per il futuro un obbiettivo che mi pongo è assicurare una stabilità ancora maggiore alla programmazione e alle collaborazioni.


“Come pioggia” il titolo che inaugura l’intero tuo lavoro curatoriale qui a Castel Belasi, è l’estensione, una parte integrante di “We Are the Flood” titolo della piattaforma che hai creato per il MUSE e dell’omonimo libro, sottotitolato “Progetto di un museo scientifico per affrontare la crisi ambientale attraverso l’arte contemporanea”, uscito da poco. Lanciare dei segnali chiari ed efficaci, essere un punto di riferimento e di dibattito sulle problematiche dell’antropocentrismo, come può essere l’arte contemporanea un media efficace? E soprattutto, può diventare un riferimento di ascolto alla contestazione attiva? Può l’arte essere uno strumento interpretato e compreso nel suo insito messaggio di critica e contestazione di un declino ecologico catastrofico?

Ho ideato “We Are the Flood” su stimolo e confronto con Michele Lanzinger, direttore di MUSE, convinto che sia necessario tradurre numeri ed evidenze delle conseguenze del nostro impatto sul Pianeta fornite dagli scienziati attraverso il linguaggio universale ed empatico dell’arte. I dati da soli non bastano, abbiamo capito che non vengono ascoltati, ma noi artisti possiamo renderli più vicini alla gente attraverso la nostra capacità comunicativa. Questo è il fine che mi pongo con “We Are the Flood” e con la mostra a Castel Belasi “Come pioggia” che scaturisce da questo progetto. Le opere esposte sono raccontate da estesi apparati per offrire adeguati strumenti di lettura e punti di riferimento per qualsiasi tipo di pubblico, e innescano messaggi immediati ed evocativi, spesso forti, anche scioccanti. Penso al pericoloso abbandonarsi di Hannah Rowan su un iceberg che va al largo, al vorticoso cocktail di oro, petrolio e carbone di Elena Lavellés, alla tavola di Saverio Bonato che ha raccolto una “pioggia” sporca e tossica, la polvere sottile, quella dell’inquinamento dell’Ilva. La volontà è innescare il pensiero, far immaginare futuri desiderabili in risposta alla deriva letale verso la quale ci stiamo dirigendo. L’arte può farcela, anzi, l’arte è l’unica che può farcela. In questo è esemplare Joseph Beuys, che fu tra i fondatori del Partito dei Verdi, ma in questo è riuscita anche uno degli artisti in mostra, Mary Mattingly, che è stata capace d’influenzare le leggi di una metropoli come New York, spingendo a creare il primo parco dove i frequentatori possono raccogliere i frutti della terra, cosa prima assolutamente vietata. Mattingly è in mostra con “Lacrima”, una riflessione sulle nostre riserve d’acqua, un’opera prodotta da MUSE.


Ma alla fine sai, a te che hai fatto della tua vita e della tua arte uno strumento di dibattito, di riflessione, a te che usi un linguaggio di energia ed esortazione, che cosa possiamo fare per farci ascoltare da chi ha già deciso la nostra fine, da chi ha deciso che la terra è di pochi? E cosa possiamo fare, per educare l’umanità al rispetto del pianeta in cui vive?

Fondamentale è il “noi” di “We Are the Flood”. Fondamentali sono quelle gocce fertili di “Come pioggia”. Non dobbiamo chiuderci in noi stessi. L’atto di piegarci su noi stessi per cercare risposte alle nostre domande guardando lo schermo del nostro cellulare è emblematico. Invece dobbiamo alzare la testa. C’è un affresco molto intrigante a Castel Belasi, una Regina di Saba che s’incammina verso Re Salomone a Gerusalemme vogliosa di conoscenza, che l’autore del Cinquecento ha deciso di rappresentare a soffitto, come un mondo altro, sottosopra. Facendo questa scelta figurativa chiama ad alzare gli occhi, ampliare il punto di vista, riconnetterci con il cosmo, un invito quanto mai attuale. Questo dobbiamo fare: allargare lo sguardo da noi stessi, capire che non siamo noi al centro e che non siamo elementi chiusi, una connessione, una simbiosi è necessaria.


Ultima domanda (e soprattutto congratulazioni!!!): hai appena vinto il premio dell’”Italian Council 2023 per la committenza internazionale e acquisizione di opere” per il progetto We are the Flood destinato al Comune di Lissone - Museo d’Arte Contemporanea con diverse istituzioni internazionali come partner di progetto: Darb 1718 – Contemporary Art and Culture Center, (Cairo, Egitto), Port (Perak-Malesia), Ilulissat Art Museum (Groenlandia), Б’ART Contemporary (Bishkek, Kyrgyz Republic). Anche se sei abituato ai premi, è un grande traguardo soprattutto in questo particolare momento della tua carriera. Cosa significa per te, qual è l’evoluzione ora di “We Are the Flood”, gli obiettivi, il prossimo step?

Vinco l’Italian Council per la seconda volta, con un progetto che prenderà forma presso le diverse istituzioni e le diverse nazioni coinvolte. Come si può intuire, i miei progetti non sono statici e chiusi ma si espandono in molteplici sviluppi. Ho delineato un metodo personale multi-sito e multi-forme. Ora vi scrivo dal Cairo, dove sono in residenza presso Darb 1718 e dove mi trovo per un sopralluogo al sito medievale della cosiddetta Cittadella, il Castello Salah Al-Din Al-Ayoubi, sede della prossima edizione della OFF Cairo Biennale in novembre, con la direzione artistica di Moataz Nasr e Simon Njami come capo curatore. Prendo parte con “We Are the Flood”, che costituirà una sezione della Biennale e si svilupperà in forma partecipativa. Al suo interno ci saranno opere mie e di artisti delle nazioni che toccherò con il progetto, come Shaarbek Amankul del Kirghizistan e Lisbeth Karline Poulsen della Groenlandia, spesso a loro volta impegnati a quattro mani, come Khaled Ramadan e Roslina Ismail, o in una serie di performance come il collettivo malese-giapponese Projek Rabak. Il format sarà questo anche nelle tappe successive in Malesia, in Groenlandia e nella repubblica centrasiatica del Kirghizistan, dove ci saranno fasi di confronto solitario con l’ambiente specifico e fasi d’incontro con quello artistico del posto e con il pubblico. A conclusione, i risultati del progetto verranno presentati il prossimo anno in una mostra al MUSE Museo delle scienze di Trento e in un incontro pubblico al MAC di Lissone, dove il programma aprirà con una personale da ottobre 2023 a gennaio 2024.


18 luglio 2023, Alice Rubbini Courtesy Foto Stefano Cagol


Castel Belasi


1 Mary Mattingly 2 olmo stuppia 3 Giulia Nelli


4 Eugenio Ampudia 5 Stefano Caimi 6 Philipp Messner

7 Elena Lavellés 8 Silvia Listorti 9 Nezaket Ekici

10 Micol Grazioli, Philipp Messner, Stefano Caimi, Eugenio Ampudia 11 - 12 Hannah Rowan


Didascalie opere:


1 Mary Mattingly, Lacrima, 2023, installazione, vasi in terracotta galestro realizzati in maniera partecipativa, vulcaniti, dolomie triassiche, graniti rosa, porfidi, idrofoni, clessidre, pompa, tubo pvc, struttura in acciaio inox. Collezione MUSE – Museo delle scienze Trento


2 G. Olmo Stuppia, Sposare la notte Ep. IV, 2022, video, 7:41 min


3 Giulia Nelli, La vita sotto, 2022, installazione site specific, collant, diversi den, 250 x 450 cm. Veduta della mostra “We Are the Flood. Liquid exhibition #2”, Tridentum Sotterranea – SASS Spazio Archeologico Sotterraneo del Sas, Trento


4 Eugenio Ampudia, Concierto para el Bioceno, 2020, HD video, 8:55 min. Courtesy l’artista; Max Estrella Gallery


5 Stefano Caimi, Phytosynthesis - Antirrhinum Majus, 2022, software personalizzato, stampa fine art a getto d'inchiostro su carta di cotone, cornice in legno Toulipier sbiancato, vetro museale, 110 x 89,5 x 5,5 cm


6 Philipp Messner, o.T. (CLOUDS), 2016, stampa a pigmenti su carta Hahnemühle Fine Art, 150 x 100 cm


7 Elena Lavellés, Pattern of Dissolution, 2017, HD video, 30 min. Sound: Javier Lara


8 Silvia Listorti, Now, 2019, scultura, vetro fuso a cera persa inciso e molato, 31 x 25 x 14 cm Courtesy l’artista; Galleria Studio G7


9 Nezaket Ekici, Review Preview, 2022, video della performance per “We Are the Flood 2022” al MUSE – Museo delle Palafitte del Lago di Ledro, oggetti taglienti, feltro di 3 colori, palo di 3 m. Collezione MUSE – Museo delle scienze Trento


10 Micol Grazioli, Philipp Messner, Stefano Caimi, Eugenio Ampudia disegno, 200 x 550 cm per “We Are the Flood. Liquid

exhibition #2”, MUSE – Museo delle scienze Trento. Foto: Carlo Maiolini


11 - 12 Hannah Rowan, Tides in the Body, 2023, video 4k, 14 min. Courtesy l’artista; C+N Gallery Canepaneri

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