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IL CONCERTO DI BARCELLONA

L’APRIPISTA ALLA NORMALITÀ DEGLI EVENTI IN PRESENZA


di Anna Rubbini



E’ accaduto, dunque è possibile… nonostante la pandemia!

E la speranza è che non sia solo per un’occasione, ma l’inizio della ripresa, del ritorno alla tanto attesa “normalità”.

Sono convinta che la normalità che ricordiamo non sarà più quella che avremo quando finiranno le restrizioni, ma dopo l’esperimento del concerto dal vivo a Barcellona, dopo le manifestazioni a Milano ed in Piazza del Popolo a Roma operatori dello spettacolo, fermi nel lavoro da oltre 400 giorni, la speranza di un’apertura graduale in sicurezza delle attività si rende più plausibile.

Non è possibile ignorare come, a fronte di un avvenimento di “massa” come quello dell’esibizione del complesso pop-rock Love of Lesbian nella capitale ispanica, sia auspicabile che le attività del settore possano e debbano riprendere.

Le misure cautelari sono nelle nostre mani e


nella nostra coscienza, gli accessi controllati dei partecipanti all’evento al Saint Jordì, con dimostrazione di essere risultati negativi a un test antigenico svolto tra le 8 e le 16 dello stesso giorno non è oramai impossibile, tanto che vale attualmente anche come misura precauzionale per poter viaggiare.

Per l’occasione erano stati allestiti appositamente alcuni punti dove effettuare i test sia presso il palazzetto che in altri tre locali e discoteche di Barcellona: il Luz de Gas, il Razzmatazz e la Sala Apolo… cosa impedisce che le stesse misure non possano essere adottate ovunque, senza per forza impedire le chiusure dei luoghi di intrattenimento, inclusi teatri e cinema?

Tutte le informazioni relative al concerto, compresi i risultati dei tamponi, si potevano consultare attraverso un’apposita app: non è forse questo un incentivo alla digitalizzazione? Allo sviluppo di programmi di tracciamento, previa accettazione personale, che tornino utili alla collettività?...

No, non credo sia violazione della privacy, non più di quanto lo sia la sottoscrizione al trattamento dati quando si chiede un nuovo operatore telefonico o si compra un televisore in garanzia.

Và detto che secondo gli organizzatori dell’evento di Barcellona gli inconvenienti sono stati minimi: soltanto SEI delle circa 5mila persone testate prima dell’inizio sono risultate positive al coronavirus e tutti i controlli all’ingresso hanno fatto ritardare l’avvio dello spettacolo di 30 minuti, un intoppo che data la complessità dell’insieme è stato accettabile per non dire “normale”. I biglietti erano stati venduti tutti nel giro di poche ore. E quei SEI sono stati poi indotti alle cure, da ignari del loro status e poi sottratti al pericolo.

Prima dell’evento il pubblico è stato sottoposto a screening di massa e test antigenici, tutti hanno indossato mascherine FPP2 per partecipare allo show, che dopo un anno di confinamento e pochissima interazione sociale, è arrivato senza precedenti. Dopo il test, musicisti, staff, pubblico e altro personale addetto hanno trasformato il Sant Jordi in un potenziale Vaso di Pandora di 5.000 persone che hanno potuto vivere l'esperienza live senza mantenere il distanziamento e senza provocare la fuoriuscita di alcun male!

Gli ambiziosi obiettivi della serata in vista degli eventi futuri, hanno suggerito un perdurare dei controlli degli spettatori e di tutti i partecipanti anche i quindici giorni successivi, da parte delle autorità sanitarie, senza portare a nessun risultato positivo.

L’obbligo di mascherina ma senza distanziamento fisico, dopo essere risultati negativi al test preventivo svolto nella stessa giornata, ha reso questo concerto a tutti gli effetti, anche col senno di poi, il primo appuntamento del “Festival per la Cultura Sicura”, confermando gli intenti delle istituzioni catalane di affermare che eventi come questi, che raccolgono migliaia di persone, si possono svolgere in sicurezza secondo le stesse modalità messe in pratica; queste funzionano rendendo addirittura più sicuro il contenitore – come una casa- che l’esterno, più di andare al supermercato assiepandosi alle casse, del passeggiare per strada tra la gente e dello stallo fuori dai locali.

Uno spiraglio si apre dal 26 Aprile: si potrà tornare al ristorante, a prendere un caffè senza sentirsi degli appestati, si potrà andare nei musei senza dover per forza diventare spettatori virtuali, godendo in prima persona della bellezza dell’Arte e della Cultura nei luoghi adibiti, ma spero che le decisioni non si rivelino un placebo: io espongo un’esigenza di parte, di chi ha a cuore la libera espressione della cultura, ma viviamo nella globalizzazione e questo è inconfutabile. Chi decide delle nostre vite non può e non deve ignorare alcune categorie solo perché ritenute marginali rispetto alla produzione e alla finanza.

Viviamo in un sistema, ordito e complesso, abbiamo bisogno gli uni degli altri tanto che se uno perisce, gli altri si ammalano gravemente. Questo modo di agire, sino ad ora, preferenziale e a comparti, è la peggiore epidemia che possiamo accusare.

Se è vero che viviamo in una democrazia, finiamo di imporre dittature..

Sono convinta, oggi più dell’anno scorso, che i tempi sono maturi perché si proceda con responsabilità verso il nostro Paese, attuando con urgenza una riforma strutturale volta a riconoscere il valore artistico, produttivo e sociale del comparto Cultura:

apriamo i Musei, i Teatri ed i Cinema, andiamo ai concerti e agli spettacoli, miglioreremo non solo la nostra vita e le nostre prospettive future, ma faremo rivivere un grande valore aggiunto delle nostre esistenze e della nostra economia.

Il dado è tratto, questo penso personalmente, da interessata e spettatrice, ma credo di non sbagliare.


1 Aprile 2021, Anna Rubbini

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