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BOLOGNA E IL SUO CANTAUTORATO: COME E PERCHÈ NE È UN ESEMPIO IMMORTALE

  • Immagine del redattore: Samuele De Marchi
    Samuele De Marchi
  • 24 ago
  • Tempo di lettura: 18 min

Aggiornamento: 2 giorni fa



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di Samuele De Marchi


Bologna non è di certo una metropoli. Il comune della città conta meno di quattrocentomila abitanti, un numero che di certo non impressiona. L’orgoglio per la propria città è un sentimento comune ad ogni italiano, eppure sentendo nominare Bologna, chi ci ha avuto a che fare si emoziona un po’ più degli altri, forse perché se ne parla solo se succede qualcosa. Bologna per tanti è solo una città di passaggio e di passeggio: un treno che si ferma nella sua stazione che espone quell’orologio fermo alle 10:25 come una cicatrice, uno scalo nel suo aeroporto perché “il volo costava di meno”, quei tre anni nella sua millenaria università per poi viaggiare verso altri lidi, raggiungere a piedi ogni angolo anche quando piove, coperti dai portici, gli stessi che rincorri salendo verso San Luca quando hai bisogno di una speranza in più. Non è Milano, Roma o Napoli di cui si parla anche quando stanno ferme, ma c'è qualcosa in cui Bologna sa ben dire la sua, letteralmente: la protesta, la manifestazione, la poesia e la musica hanno reso la città una alta bandiera di resistenza socio-politica e di avanguardia artistica nel corso degli anni, dando la parola a chiunque ne avesse bisogno; 

Dal primo cantautorato, alla voce della ribellione al pop leggero, la narrazione e il racconto a Bologna sono fondamentali, diventando un vero strumento della collettività per esprimersi. Non a caso, tantissimi cantautori e artisti italiani sono nati o hanno quantomeno camminato per le strade della città e in un modo o nell’altro “la dotta, la rossa, la grassa”, trova sempre posto nei loro testi.


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Il cantautorato bolognese muove i suoi primi - ma giganteschi - passi in un contesto mondiale e soprattutto italiano di grandi movimenti, sia culturali che socio-politici: gli anni Sessanta, figli dell’inerzia economica del decennio precedente, sono fatti di una produzione artistica effervescente, un divertimento generale apparentemente inarrestabile; la Pop Art, i Beatles, Bob Dylan e la beat generation, le minigonne, le Mini le 500 e le Vespe della Piaggio, sono solo alcuni dei cubetti di ghiaccio in un cocktail che alcuni sperano rimanga sempre fresco. Ma attenzione a non ubriacarsi, perché non è tutto rose e fiori: gli stessi fiori che gli Hippies portano tra i capelli chiedono la pace, perché se da un lato c'è il rumore della musica leggera, dei motorini e delle risate, dall’altro c'è quello delle bombe, delle manganellate della polizia e dei megafoni. Le guerre e le conseguenti proteste imperversano in tutto il mondo; dal Vietnam e dalla Baia dei Porci a Cuba dove gli Stati Uniti cercano strategicamente di spegnere o ribaltare i poteri, ai primi conflitti in Medio Oriente durante la guerra dei Sei Giorni, dalle proteste contro la segregazione razziale guidate da Martin Luther King alle sanguinose lotte di classe di studenti e lavoratori europei contro i vertici del comando, pre e post Sessantotto. Ed il cantautorato bolognese prima di parlare ascolta tutto ciò, ecco il brodo primordiale in cui nasce, tra musica da ballare e quella più intellettuale. 


Tra i primi e più iconici cantautori della città c'è sicuramente Lucio Dalla, importante rappresentante di una scrittura profonda, evocativa, poetica ed elegante ma divertente allo stesso tempo. Nasce nel 1943 e cresce tra Bologna, Roma e Treviso, dove studia in collegio giovanissimo dopo la morte del padre. Nei primi anni della sua carriera all’inizio degli anni Sessanta si rivela un formidabile clarinettista jazz incontrando anche lo storico trombettista Chet Baker, che invita personalmente Dalla a suonare con lui nonostante fosse appena un adolescente. Nel 1962 entra a far parte dei Flippers, mentre la sua carriera da solista inizia appena due anni dopo nel 1963 pubblicando il suo primo 45 giri Lei (non è per me)/Ma questa sera, scritto anche da Gino Paoli. Gli anni settanta per Dalla saranno fondamentali per la sua formazione artistica e per la consolidazione del tema della politica nel cantautorato italiano: in questo periodo abbandona infatti Sergio Bardotti e Gianfranco Baldazzi con cui aveva scritto tutti i suoi testi per iniziare una collaborazione con il poeta bolognese Roberto Roversi, con cui produce album dal carattere particolarmente sperimentale e anche spettacoli teatrali. Il vero successo di Dalla arriva però alle porte degli anni Ottanta, quando pubblica nel 1977 Come è profondo il mare e nel 1979 Lucio Dalla, album che contiene tra le canzoni più iconiche del suo repertorio, come Anna e Marco e L’Anno che verrà. Nel 1980 sarà la volta di Dalla, disco che più di tutti è rimasto impresso nella musica italiana - anche per l’iconica copertina -  con brani come Futura e La sera dei miracoli. Da lì a breve inizierà un percorso artistico di formazione e accompagnamento degli Stadio, con cui farà anche un tour mondiale nel 1986 che darà vita a un album live contentente Caruso, successo internazionale reinterpretato da artisti come Céline Dion e Luciano Pavarotti. Nello stesso periodo collaborerà anche con il concittadino Gianni Morandi con il disco Dalla/Morandi. Negli anni Novanta e Duemila si concentrerà sul teatro, scrivendo e assistendo vari spettacoli, riaccendendo poi la collaborazione con Roversi all’inizio del Duemila pubblicando l’album Ciao. Lucio Dalla morirà improvvisamente nel 2012 durante un importante festival jazz in Svizzera, lasciando una immensa eredità artistica e umana, diventando uno dei più grandi motivi di vanto di Bologna. 


Assieme a Dalla, anche Gianni Morandi è una delle figure più longeve e amate della musica leggera italiana e bolognese, simbolo di un’ Italia popolare, sincera ed energica. Nasce a Monghidoro, sull’Appennino bolognese, nel 1944, e già da bambino si fa notare con piccoli spettacoli che fanno già intendere il palcoscenico come suo habitat naturale. Il suo debutto discografico risale al 1962 con Andavo a cento all’ora e Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte. Negli anni Sessanta e Settanta Morandi incarna un’Italia ottimista, legata al boom economico, e non si limita solo al canto: inizia infatti anche una carriera parallela nel cinema e nello spettacolo e partecipando ai Festival di Sanremo, diventando un volto familiare nelle case degli italiani. Dopo una fase di minor visibilità negli anni ’80, sorprende tutti con una rinascita artistica: nel 1987 torna al vertice insieme a Lucio Dalla e Enrico Ruggeri con Si può dare di più, canzone-manifesto che vince Sanremo parlando di solidarietà e impegno. Questa nuova fase lo restituisce al grande pubblico con un’immagine rinnovata, più matura, più autentica. Nel 1988 con il precedentemente citato Lucio Dalla pubblica l’album Dalla/Morandi, amici e colleghi entrambi innamorati di Bologna. Negli anni ’90 e 2000 Morandi si conferma presenza costante nel panorama musicale e televisivo italiano: pubblica dischi di successo come Banane e lamponi, Uno su mille, e Come fa bene l’amore, dedicandosi anche al teatro e alla fiction e diventa un apprezzato conduttore televisivo, presentando Sanremo nel 2011 e nel 2012 con grande consenso. La sua figura rassicurante, ironica e instancabile lo rende una sorta di "coscienza popolare" italiana. Nel 2017 all’età di 72 anni collabora con Lorenzo Jovanotti nell’album D’amore d’autore. Nell’invece più recente 2021, dopo aver affrontato un grave infortunio alla mano - Gianni è anche curiosamente noto per le sue mani grandi- ritorna sul palco dell’Ariston con il brano Apri tutte le porte scritto proprio da Jovanotti, con cui arriva sul podio al Festival di Sanremo 2022. Gianni Morandi si è dimostrato molto più che solo un cantante, è un uomo fatto per lo spettacolo; ha attraversato decenni senza mai smettere di rinnovarsi o perdere il contatto con il pubblico.


Tutt’altro che showman, sia nel comportamento che nei testi, ma  puramente poetico in qualsiasi accezione del termine: Francesco Guccini nasce a Modena nel 1940 ma cresce a Bologna dopo l’adolescenza. Esordisce negli anni Sessanta, ma è negli anni Settanta che diventa una stella polare della musica folk italiana, come cantante e come autore. Ama infatti stare dietro le quinte, essere in grado di fare il suo lavoro al meglio senza essere snaturato degli sguardi del pubblico; i suoi testi descrivono un’Italia molto evocativa, naturale, sincera e limpida, vera in ogni modo possibile, senza escludere la politica e malesseri generazionali. Nonostante questo carattere “rurale”  rafforzato dalla sua voce grezza rimane estremamente colto e complesso, diventando inconfondibile. Negli anni ’80 e ’90 Guccini continua a pubblicare dischi di grande qualità: Signora Bovary, Quello che non…, D’amore di morte e di altre sciocchezze. I suoi concerti diventano riti collettivi, con un pubblico trasversale che sa a memoria ogni parola. È il simbolo di una generazione ma non smette di parlare anche ai più giovani, con la forza di chi non banalizza mai il presente.

Nel 2012 pubblica L’ultima Thule, annunciando l’addio alla carriera musicale ma continuando l’attività di scrittore con la scrittura di romanzi e racconti. Nel 2022, a dieci anni dal suo “addio” musicale, torna a sorpresa con Canzoni da intorto, una raccolta di canti popolari e anarchici che risuona come un testamento poetico e politico.

Guccini incarna lo spirito più ribelle e popolare di Bologna, fatto di Lambrusco artigianale e giornate calde passate in città senza fuggire al mare, un personaggio dalla grande reverenza che si è creato una nicchia e un genere di racconto tutto suo.


“Lo definisco un genio, perché credo che sia l’unica persona al mondo che riesce ad accavallare le gambe mettendo giù tutti e due i piedi”.

Questa è l’opinione di Francesco Guccini di un altro musicista bolognese, meno conosciuto degli altri citati fino ad ora, ma comunque partecipe e collaboratore di tanti artisti di successo della zona. Jimmy Villotti nasce nel 1944 e collabora già dagli anni Settanta con numerose band - assieme ad esempio a Claudio “Il Gallo” Golinelli, attuale bassista di Vasco Rossi - e artisti del calibro di Dalla, Guccini, Morandi e Vanoni. Dopo un periodo in giro per l’Italia assieme a questi musicisti, si concentra su di sé e sul jazz, la sua vera passione: dagli anni Novanta in poi pubblica album tra cui Jimmy Villotti in cui accompagna una produzione di stampo principalmente jazz e blues a testi ironici. 


È un mix di blues, soul e demenzialità invece la musica di Andrea Mingardi. Nato nel 1940 a Bologna, è attivo nel panorama musicale specialmente rock’n’roll dal 1959. Dall’inizio degli anni Sessanta produrrà musica sia da solista che assieme a numerose band prima di formare la Andrea Mingardi Supercircus nel 1979, con cui si butterà a capofitto nella musica blues con testi in dialetto bolognese demenziali e ironici. Ha partecipato inoltre a diverse edizioni del Festivalbar e anche a Sanremo. 


Gli anni Settanta lasciano il cantautorato bolognese piuttosto invariato nella forma e negli stili -così come rimane simile anche il panorama internazionale socio-culturale -, ma iniziano ad apparire nomi nuovi, legati anche personalmente a quelli già citati finora. Rosalino Cellamare in arte Ron, nasce a Pavia ma trova a partire dagli anni Settanta la sua casa artisica a Bologna sotto il mecenatismo di Lucio Dalla, con cui scrive anche Piazza Grande. Dopo l’esordio nel 1970 a Sanremo con Pa’ diglielo a ma’, comincia a collaborare con Dalla e con Francesco De Gregori con cui partecipa allo storico tour Banana Republic in qualità di chitarrista, percorso che otterrà grande successo e persino un film.

Il suo primo grande successo da interprete arriva con Una città per cantare nel 1980, adattamento italiano del brano di Danny O’Keefe con testo di Lucio Dalla, brano che tra l’altro Rosalino presenterà per la prima volta con lo pseudonimo Ron. Negli anni ’80 e ’90 alterna momenti più intimi ad altri di grande esposizione, come la vittoria a Sanremo nel 1996 con Vorrei incontrarti fra cent’anni, cantata in duetto con Tosca. La sua musica mantiene sempre una qualità narrativa e musicale altissima, grazie anche all’eleganza discreta con cui si presenta al pubblico.

Ron si distingue per la sua sensibilità umana oltre che artistica: partecipa a progetti benefici, sostiene la ricerca sulla SLA e dedica concerti e incisioni alla memoria dell’amico Lucio Dalla. Il disco La forza di dire sì (2016), che include duetti con numerosi colleghi su brani del suo repertorio, è una dichiarazione d’amore alla solidarietà. La sua vicinanza a Bologna, anche se non di nascita, è profonda nel segno della musica non solo per sé, ma anche per gli altri.


Un altro interprete e cantautore bolognese di rilievo è Claudio Lolli, classe 1950, anch’egli introdotto e accompagnato nella musica da un’altra figura importante del tempo, Francesco Guccini: grazie alla sua guida, Lolli pubblica il primo LP Aspettando Godot nel 1972, riprendendo fortemente le sonorità del suo maestro. Fin dagli inizi, i suoi brani sono fortemente impegnati politicamente e raccontano l’inquietudine esistenziale di una generazione e il disincanto verso le ideologie. Lolli si farà poi conoscere a livello nazionale con Ho visto anche degli zingari felici del 1976, disco sostenuto dalla nascita delle radio libere e il legame con l’attualità del tempo, in particolare la strage dell’Italicus. Le sue canzoni parlano infatti rivolte popolari tra operai e studenti, ma anche di amori aspri e di solitudine, con una scrittura colta e profonda. 

Negli anni ’80 si allontana dalle scene e intraprende la carriera di professore al liceo, dopo aver conseguito la laurea in lettere. Tornerà alla musica verso la seconda metà degli anni Novanta e nel 2017 pubblica Il grande freddo, uno dei suoi progetti di maggior successo che vincerà la Targa Tenco per il miglior disco dell’anno in assoluto pochi mesi prima della sua scomparsa, nel 2018. 


La fine degli anni Settanta e, in particolare il 1977, vede l’esordio al grande pubblico di band e cantanti che hanno fatto la storia della musica italiana, complice anche il risveglio di coscienze dato dalle rivolte e proteste operaio-studentesche dello stesso anno, di cui Bologna era uno dei centri nevralgici. È l’anno di nascita degli Skiantos, tra le prime band punk rock in Italia e capostipiti del rock demenziale, unendo quindi l’attitude ribelle del punk e anarchia del messaggio-non-messaggio, la provocazione del non-senso: il gruppo nasce attorno alla figura del loro leader Roberto “Freak” Antoni e pubblicano il loro album più celebre all’inizio della carriera, MONOtono nel 1978: disco-manifesto del loro modo provocatorio e dadaista di fare musica, con il quale un anno dopo si presentano in un importante festival rock e invece di suonare, apparecchiano, cucinano e mangiano spaghetti sul palco.

Il gruppo si scioglierà poi nel 1982 dopo la pubblicazione del loro album Pesissimo! e un’improbabile pubblicità per le patatine Pai. Tra gli anni Novanta e Duemila la band si riunisce con diverse formazioni e ottiene nel disco del 1999 Doppia Dose, la collaborazione di Lucio Dalla, Luca Carboni e Samuele Bersani, tutti artisti bolognesi che quindi mostrano la reputazione della band nel panorama. Nel 1990, tra l’altro, Vasco Rossi vorrà gli Skiantos al suo fianco per il tour, mentre tra il 2004 e 2005 saranno ospiti musicali fissi al programma comico Colorado Cafè. Nei tempi più recenti, a distanza di poco più di dieci anni, sono scomparsi sia il cantante Freak Antoni che il chitarrista Fabio Testoni, noto come Dandy Bestia rispettivamente nel 2014 e 2025. Bologna fu l’ambiente perfetto per il loro stile: underground e aperta all’avanguardia, notoriamente ribelle. 


Altra band bolognese di rilievo nata nella seconda metà degli anni Settanta sono gli Stadio: iniziano a farsi conoscere per le prime volte assieme a Lucio Dalla, affiancandolo prima nel disco Anidride Solforosa nel 1975, replicando poi la collaborazione nel 1977 in Com’è profondo il mare. La fondazione ufficiale della band risale però al 1981 e fu proprio Dalla a dagli il nome, ispirato al quotidiano sportivo bolognese. Il loro inizio è legato alle figure di altri musicisti bolognesi, come Jimmy Villotti e Ron, ma primariamente a quella dell’attore Carlo Verdone: per lui gli Stadio incideranno pezzi presenti nelle colonne sonore di Borotalco e Acqua e Sapone, canzoni diventate cavalli di battaglia della band. Proseguono le collaborazioni, che saranno numerosissime per la band: tra tutti, il frontman Gaetano Curreri co-produrrà molti testi delle canzoni di Vasco Rossi e Claudio Golinelli, ex bassista del gruppo, diventerà membro fisso dell’entourage del rocker di Zocca. Gli anni Ottanta saranno il periodo più florido per la band, che fa uscire l’EP Chiedi chi erano i Beatles, disco contenente il brano omonimo e uno dei loro più grandi successi. Continuano le collaborazioni, il girotondo dei membri e i progetti per le colonne sonore, fino alla chiusura definitiva del sodalizio con Lucio Dalla alle porte degli anni Novanta, data la ricerca di Curreri di uno spazio più ampio per la loro musica. La loro carriera prosegue per tutti gli anni Duemila fino alla coronazione con la vittoria del festival di Sanremo nel 2016, ultimo di tante partecipazioni alla kermesse musicale. Il loro pop-rock è sempre stato apprezzato da numerose generazioni di ascoltatori per l’impegno con cui la band creava e per la loro longevità, rimanendo fedeli a una costruzione “artigianale” della musica, guidata da nient’altro che passione.


Il rock italiano però, porta un nome e un nome soltanto, Vasco Rossi: nato a Zocca, sull’Appennino modenese, nel 1952, si trasferisce da adolescente a Bologna ospite della zia, città in cui frequenterà sia le scuole superiori che l’accademia delle belle arti all’università. La Bologna di quegli anni unita all’esperienza da studente universitario saranno fondamentali alla formazione del suo stile. Pubblica il primo 45 giri Jenny/Silvia nel 1975, anno in cui Vasco lavorava come dj nella radio indipendente di Zocca Punto Radio, spinto anche dall’amico Gaetano Curreri - frontman degli Stadio -. Il vero esordio musicale avviene però nel 1977 con l’album ...Ma cosa vuoi che sia una canzone..., ancora timido nei toni ma già ricco di intuizioni, mentre la consacrazione a un primo successo avverrà nel 1979 con Non siamo mica gli americani!, disco che contiene Albachiara, diventata col tempo la sua canzone-simbolo.

Gli anni ’80 sono il decennio della affermazione, ma anche delle polemiche. Con dischi come Colpa d'Alfredo, Siamo solo noi, Vado al massimo e Bollicine, Vasco rompe ogni schema: canta il malessere giovanile e la voglia di libertà usando un linguaggio diretto e sporco, che diventerà la sua firma inconfondibile. È il periodo in cui i fan del “Blasco” iniziano a seguirlo come fosse una religione, ancora oggi sono infatti tra le fan-base più fedeli e grandi d’Italia. Negli anni ’90 Vasco si afferma definitivamente come fenomeno di massa; Dischi come Gli spari sopra e Nessun pericolo... per te - rispettivamente del 1993 e 1996 - vendono milioni di copie e portano Vasco al massimo status di rockstar. I live negli stadi diventano eventi epocali: a Imola, a San Siro, fino al leggendario Modena Park del 2017, che raduna oltre 225.000 persone — il più grande concerto a pagamento di un singolo artista nella storia della musica.

Vasco è una figura talmente grande e polarizzante che definirlo “cantante” potrebbe risultare riduttivo: performer e personaggio travolgente, raccoglie tutt’ora fan di ogni generazione, riesce a coinvolgere il pubblico grazie alla sua verità artistica. Bologna, pur non essendo la sua città natale, ha avuto il giusto crocevia culturale e spirito ribelle che ha reso possibile l’esplosione del suo talento: qui Vasco trova la libertà di esprimersi, la provocazione, l’energia underground che alimenta la sua musica e la sua scrittura.


A Bologna gli artisti che esordiscono negli anni ’80 sono meno socialmente impegnati, volendo anche un po’ più leggeri: si fanno meno portavoce dei disagi popolari e della politica reazionista, ma diventano più intimi producendo un pop d’autore unico, malinconico, dolceamaro.

Luca Carboni entra di diritto in questa cerchia di cantautori: Nato a Bologna nel 1962 inizia il suo percorso musicale come chitarrista e compositore nei Teobaldi Rock con cui lavorerà fino al 1980, ma è l’incontro con Lucio Dalla e  Gaetano Curreri degli Stadio a segnare la svolta: nel 1983 pubblica il suo primo album solista, …intanto Dustin Hoffman non sbaglia un film, che conta proprio la collaborazione dei due - con Curreri come co-produttore - assieme a Ron. 

Luca raggiungerà poi l’apice del successo con il disco Carboni nel 1992: album in cui possiamo trovare pezzi come Ci vuole un fisico bestiale e Mare mare, hit generazionali tradotte anche in varie lingue che nel caso dell’ultima gli varrà anche la vittoria al Festivalbar dello stesso anno. Nei restanti anni Novanta fino a sbarcare nei primi Duemila, Luca si divide tra dischi più riflessivi, ad altri più pop e altri ancora grezzi e minimalisti, sempre mantenendo la cifra personale di un cantautore sensibile. Dopo una fase più appartata, torna alla ribalta con Fisico & Politico nel 2013 in cui rilegge i suoi classici con colleghi come Tiziano Ferro, Elisa e Fabri Fibra, mentre nel 2015 sorprende con Pop-up, trainato dal successo di Luca lo stesso. Bologna è da sempre il cuore della sua ispirazione: città che lo ha cresciuto, culla del suo romanticismo urbano e intimo.


C'è chi a Bologna non c'è nato, ma ci è cresciuto, si è innamorato - non solo della città - e ci ha fatto una famiglia: Biagio Antonacci nasce a Milano nel 1963, ma si lega al capoluogo emiliano quando durante il servizio preso l’arma dei Carabinieri a Garlasco conosce Ron, che lo introduce e presenta alla città e in particolare a Gaetano Curreri degli Stadio e al produttore ed autore Mauro Malavasi. 

Dopo l’esordio nel 1988 con Sono cose che capitano, Antonacci esplode nel 1992 con Liberatemi, prodotto proprio assieme a Malavasi, album che raggiunge le 150mila copie vendute. I suoi testi, spesso autobiografici, indagano l’amore in tutte le sue sfumature, toccando anche l’identità e il cambiamento personale coinvolti nelle relazioni.

Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila Biagio Antonacci conferma la sua centralità nel panorama italiano con una serie di album che contengono le sue canzoni più note ed apprezzate; dischi come Biagio Antonacci, Vicky Love e il progetto Convivendo assieme a Laura Pausini.

Il legame con Bologna per Biagio non è solamente musicale: in Emilia matura il suo suono in un ambiente creativo fertile e una scena professionale solida e solidale, ma il cantante è legato alla città anche per la famiglia creata con Marianna Morandi - figlia di Gianni - e dei due figli, Paolo e Giovanni: nonostante si divida tra Milano e Bologna, Biagio si dice sempre contento di ritornare nella città emiliana che gli ha dato tanto e che continua ad accoglierlo, fiero anche di vederla nei suoi cambiamenti a causa degli spostamenti del cantante. 


Anche Samuele Bersani non è nativo di Bologna, ma è diventato simbolo della sua città adottiva: è uno dei cantautori più raffinati e poetici della musica italiana contemporanea. Nato a Rimini nel 1970 cresce artisticamente a Bologna dove si trasferisce dopo l’adolescenza passata a Cattolica. La sua carriera inizia ufficialmente dopo che Lucio Dalla lo scelse per aprire tutte le date del suo Cambio Tour. 

Il suo esordio discografico arriva nel 1992 con C'hanno preso tutto, album che lo fa conoscere al grande pubblico grazie anche al tormentone estivo Chicco e Spillo. Il vero successo arriva con Freak nel 1994, album che contiene l'omonima hit e Spaccacuore, canzoni che mescolano ironia e malinconia. Bersani da prova di una scrittura con un lessico ampio, ricco di immagini e sfumature. Negli anni successivi consolida la sua reputazione con album come L’oroscopo speciale nel 2000 - colonna sonora di Chiedimi se sono felice di Aldo, Giovanni e Giacomo -, Caramella smog nel 2003 - con cui vince due targhe Tenco - e Manifesto abusivo nel 2009. Bersani ritornerà poi a vincere la Targa Tenco con Cinema Samuele, l’album più recente del cantante pubblicato nel 2020. Bologna è lo sfondo silenzioso e ispiratore della sua poetica, che affronta temi amorosi, esistenziali e sociali, sempre con grande delicatezza e a volte anche ironia.


Al pari dei grandi del passato come fama, impatto e bandiera della città, c'è Cesare Cremonini, uno dei protagonisti più carismatici del pop italiano contemporaneo. Nato a Bologna nel 1980, incarna perfettamente lo spirito della sua città: colta, ironica, romantica e un po’ malinconica. Cremonini  inizia la sua carriera con i Senza filtro, una band creata assieme ai compagni del liceo con cui propone in feste e locali brani inediti e cover di Beatles, Radiohead e Queen. La band, dopo un piccolo cambio di membri e l’incontro con il produttore Walter Mameli si trasforma ufficialmente nei Lùnapop nel 1999. 

Con i Lùnapop Cremonini conosce un successo travolgente fin da subito: il singolo 50 Special uscito nello stesso anno della fondazione è da subito una hit nelle radio, vendendo oltre centomila copie in appena tre mesi e creando tantissima aspettativa per l’album …Squérez?. L’album raggiunge in pochi anni il milione e mezzo di copie vendute, grazie anche a canzoni come Un giorno migliore, Qualcosa di grande e Vorrei che entrano nell’immaginario di un’intera generazione. Il successo fulmineo e massiccio, tuttavia, si esaurisce rapidamente: nel 2002 il gruppo si scioglie e Cesare avvia la carriera solista.

Cesare pubblica Bagus nel 2002 come primo album in solitaria, e fa subito segnare un cambio di passo nella sua produzione: la scrittura si fa più personale e il pop diventa più cantautorale. Da qui inizia un percorso che lo porta a pubblicare album di grande successo e qualità come Maggese (2005), Il primo bacio sulla Luna (2008), La teoria dei colori (2012), Logico (2014), Possibili scenari (2017), La ragazza del futuro (2022) e l’ultimo album Alaska Baby (2024). Le sue canzoni raccontano l’amore, il tempo, le piccole grandi rivoluzioni personali con uno stile colto e cinematografico.

Dopo più di vent’anni di successo, Bologna appartiene a Cesare e Cesare appartiene a Bologna, uno dei personaggi più iconici della città nel nostro contemporaneo.


L’ultimo esempio rilevante al grande pubblico della musica bolognese è Lo Stato Sociale: Nato a Bologna nel 2009, il collettivo — formato da Lodovico Guenzi, Alberto Cazzola, Alberto Guidetti, Enrico Roberto e Francesco Draicchio — ha saputo interpretare gli anni dieci del Duemila con un mix di ironia, critica sociale e leggerezza contagiosa. Bologna, con la sua vocazione alternativa, studentesca e ribelle, è l’incubatrice perfetta per un progetto che sfida le regole del pop con un’attitudine da band di quartiere e uno sguardo lucido sul presente.

Dopo l’esordio con l’album Welfare Pop nel 2010 e la crescita nel circuito indie, Lo Stato Sociale esplode nel 2014 con l’album L’Italia peggiore, trainato dal successo del singolo C’eravamo tanto sbagliati. Ma è con Una vita in vacanza, presentata al Festival di Sanremo 2018 - dove ottengono il secondo posto e una lunga permanenza in radio -  che il gruppo raggiunge la grande popolarità, un brano-manifesto contro il precariato e l’alienazione lavorativa, diventato virale anche grazie alla presenza sul palco della “vecchia che balla”. Da quell’anno in poi lo stato sociale pubblicherà il romanzo Sesso, droga e lavorare nel 2019, basato sulla storia di una generazione delusa dal lavoro che riescono a stento a raggiungere dopo l’illusione del periodo della scuola, mentre dal 2020 il frontman della band Lodo Guenzi diventa ospite fisso a Rai Radio 2 Social Club per il programma I fatti di Lodo, oltre a svariate partecipazioni televisive 

La band ha sempre alternato brani ironici e ballabili a testi più amari e impegnati, raccontando con stile disilluso la generazione dei trentenni tra sogni frustrati, affetti incerti e precarietà diffusa. Nonostante il successo mainstream, Lo Stato Sociale ha mantenuto un forte legame con l’indipendenza artistica e l’impegno politico e sociale.


La vera domanda è: perché questi musicisti tra quelli più eterni e quelli più promettenti, vengono da una realtà fondamentalmente “piccola” come Bologna e non dalle grandi metropoli italiane? Così come è successo per la scuola genovese del cantautorato, sembra proprio che la chiave sia nelle dimensioni contenute del territorio, in alcuni casi anche grazie alla posizione strategica delle città. Bologna è notoriamente un crocevia di mezzi e informazioni, ma soprattutto di persone, culture e pensieri. È inevitabile dunque che dove c'è eterogeneità di personalità si sviluppi un prisma maggiore di visioni e pratiche artistiche, influenze infinite che si esprimono in modi altrettanto illimitati. Come abbiamo visto dalle storie degli esponenti della musica bolognese però, tutto ciò non basta; salta all’occhio facilmente come molti di questi personaggi si conoscessero tra di loro, per rapporti prettamente lavorativi o di stima e affetto personali - basti pensare anche solo a Raffaella Carrà che era in classe con Lucio Dalla. La vicinanza, la fratellanza e l’affetto comune per persone della stessa provenienza deve inevitabilmente aver creato un clima propositivo nel perseguire la carriera di artista, tutto ciò nel contesto di una Bologna notoriamente a favore della libera espressione. Anche la politica, la posizione nel territorio e la storia della città hanno un impatto su questa tendenza; Bologna, proprio perché nel mezzo della Pianura Padana, è stato un baluardo di resistenza politica e militare durante le guerre, abituando e indottrinando tutte le generazioni alla lotta per la libertà e alla protesta verso ciò che non va, a parlare dei disagi della popolazione e a volere attivamente un cambiamento. La città, circondata dai campi e lontana - per kilometri e status - dai grandi industriali centri italiani come il triangolo Genova-Torino-Milano, ha portato la sua popolazione non a chiudersi ma a “codificarsi” in una sorta di comunità proletaria genuina e amichevole, un comportamento provinciale rispetto ad altre zone d’Italia, in cui la musica divertiva e raccontava per allietare le giornate. Per ultima ma non di certo per importanza, la sua università, la più antica del mondo, è la prova che l’istruzione non può portare ad altro se non al progresso e all’avanguardia, in questo caso artistico. Bologna non è e forse non sarà mai il centro del mondo, ma è di sicuro il punto di partenza o di ritorno di molti artisti e dei loro racconti.

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