BASQUIAT
- Samuele De Marchi
- 15 dic 2024
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 14 feb
di Samuele De Marchi

New York sembra un formicaio, nel passaggio di decennio tra gli anni Settanta e Ottanta. E se La Grande Mela si potesse stringere tutta quanta in un unico grandissimo grattacielo, i suoi attici sarebbero pieni di uomini d’affari tutti giacca, cravatta e cocaina, stakanovisti tanto geniali nel creare prodotti innovativi quanto crudeli nel proporre campagne pubblicitarie accattivanti per rendere gli stessi prodotti essenziali alla vita, lanciando la sabbia del marketing negli occhi dei consumatori. Più scendiamo lungo questo grattacielo più il paesaggio cambia, fino ad arrivare ai piani più bassi dove il sole cala in fretta e le strade sono vicine. Quaggiù, la situazione è tumultuosa: tra droghe, gang e criminalità si cerca di rimanere a galla, non per forza seguendo la strada più legale. Il fine è la voglia di riscatto, a volte la vendetta, e il mezzo per raggiungerle diventa indifferente. A trovarsi in questa situazione sono principalmente le minoranze etniche e la comunità afroamericana, che per ribellione contro le ingiustizie quando va male si scontrano con la brutalità della polizia, ma quando va bene creano uno dei movimenti artistici più impattanti di tutti i tempi, l’Hip Hop. È proprio grazie ai graffiti, una delle costole dell’hip hop, che nasce la carriera artistica di Jean Michel Basquiat.
Baquiat, secondo di quattro figli, nasce il 22 dicembre 1960 a Brooklyn, uno dei quartieri più ampi della città, da padre haitiano e madre di origini portoricane. Sarà proprio la madre che lo fece interessare all’arte. Durante un’adolescenza travagliata segnata dal divorzio dei genitori, frequenti ricoveri della madre in istituti psichiatrici, fughe da casa e conseguenti arresti per vagabondaggio, il giovane artista lascerà gli studi per frequentare la City-as-school, una scuola alternativa con metodi di insegnamento più pratici e volti a una sorta di “reintegrazione” degli studenti in difficoltà - da qui usciranno numerosi professionisti del mondo dello spettacolo tra cui rapper, figli d’arte, attori e pornoattrici - .
All’interno delle mura scolastiche conobbe Al Diaz, un giovane graffitista con cui Basquiat strinse amicizia e prese coscienza delle sue doti come writer. La sintonia tra i due li portò a fondare il duo artistico “SAMO”, acronimo di “the Same old Shit” (la solita merda). Il nome viene dall’abitudine dei due di ritrovarsi a fumare insieme marijuana, ma i loro intenti artistici sono ben più ampi e concettuali; SAMO voleva essere una filosofia alternativa di vita, una provocazione alla società intera e alle religioni che fa leva sulle incoerenze delle sue istituzioni e dei cittadini in generale: “facciamo sulla terra tutto quello che ci pare, poi confidiamo nella grazia di dio con la scusa che non lo sapevamo” è quello che scrive proprio Basquiat nella novella-manifesto che apre e sintetizza il progetto. Sui muri della città, i due accompagnavano la firma con il marchio di copyright e con degli slogan d’impatto come “SAMO© salva gli idioti” o “SAMO© come alternativa a fare arte con la setta radical chic finanziata dai dollari di papà”. La forma di slogan è lo stesso linguaggio della pubblicità, facilmente fruibile e già d’impatto di suo, in più il messaggio invita il lettore a ragionare su alcune dinamiche e ipocrisie della quotidianità.
Sia Basquiat che Diaz vengono espulsi dalla scuola nel 1978, e nello stesso anno iniziano a frequentare gli studenti della School of Visual Arts di New York senza però seguirne i corsi: tra la cerchia di ragazzi conosciuti c’era anche Keith Haring, che diventò amico di Basquiat dopo aver saputo che si celava proprio lui dietro SAMO, progetto di cui Haring era già fan.
Il sodalizio artistico dei due finì nel 1980 per diverbi personali, e da quel momento inizia la carriera da “solista” di Basquiat. Mentre inizia a produrre le prime opere in solitaria con cui raggiunge già ottimi risultati, si afferma anche la sua figura nel jet set dell’arte newyorkese dell’epoca - il suo primo quadro, “Cadillac Moon”, venne venduto a Debbie Harry, frontman dei Blondie, conosciuta sul set del film Downtown 81: nel giro di pochissimi anni incontra Andy Warhol in un ristorante di SoHo con cui stringerà un rapporto altalenante tra arte, stima e rapporti personali - con lui la serie Collaborations, 1986 -, mentre al Club 57 e Mudd Club, due locali frequentati da artisti di ogni tipo, incontrerà Madonna ancora agli inizi della sua carriera, con la quale si vocifera Basquiat abbia avuto una storia d’amore.
Sempre nel 1980 parteciperà alla sua prima mostra collettiva, mentre l’esordio personale avverrà l’anno successivo a Modena alla Galleria Mazzoli grazie all’intervento e mecenatismo della gallerista Annina Nosei. Il vero successo verrà però raggiunto nel 1982 quando la sua retrospettiva personale a New York lo inserirà di merito tra gli artisti più popolari dell’epoca, successo confermato nell’85 quando il Ny Times gli dedicherà una copertina, descrivendo l’arte come uno dei migliori investimenti da fare e dando in pasto Basquiat agli “yuppies”, i giovani e affamati investitori della città.
Come spesso succede, la fama non arriva senza conseguenze, soprattutto quando a dover gestire la situazione sono artisti travagliati e con traumi alle spalle, nati e cresciuti in contesti poco sereni. In modo direttamente proporzionale alla sua fama, per Basquiat aumentano anche problemi personali: la sua nuova vita lo porta a un abuso sempre maggiore di droghe, che lo conducono inevitabilmente a scatti emotivi incontrollabili, con forti crisi paranoiche nei confronti delle persone che gli stavano attorno. La sua situazione degenera irrimediabilmente con la morte di Warhol nel 1987 e appena l’anno dopo, Basquiat muore per overdose di eroina, lasciando la Terra come una stella spentasi troppo in fretta ed entrando a malincuore come molti suoi colleghi artisti di altre discipline, nel club dei 27.
Jean-Michel Basquiat nonostante la breve carriera, è riuscito a lasciare il segno nell’arte contemporanea con un’interpretazione dell’epoca molto originale: sin dai graffiti, riesce a utilizzare il linguaggio degli anni Ottanta fatto di slogan pubblicitari, colori, frenesia, consumismo, innovazioni e una miriade di contenuti per esprimere il proprio disagio e il caos della metropoli, ambiente fatto di predatori e prede, vinti e sconfitti, soprattutto quando il razzismo e la criminalità sono ancora imperanti.
I primi elementi iconografici - come la corona - appaiono sporadicamente a completare le frasi scritte dal duo SAMO, ma lo stile di Basquiat si palesa con le sue opere personali; scritte confuse e cancellate ma soprattutto figure umanoidi stilizzate monocrome dai tratti confusi ma molto espressivi che spesso presentano organi esposti abbozzati - polmoni, casse toraciche e dentature -, ci permettono di definire la sua arte come neo-espressionista, quasi tribale e primitiva, una liberazione esasperata e delirante alla pressione della metropoli. Il fascino per le viscere umane per Basquiat risale a quando, all’età di otto anni, l’artista venne investito da un auto: durante la degenza in ospedale, la madre, per intrattenerlo e per far sì che il piccolo comprendesse il proprio corpo, gli regalò il manuale di anatomia Gray’s Anatomy.
La sua vicinanza all’espressionismo è testimoniata inoltre dal suo modo di dipingere, sia sul piano tecnico che emotivo. La stesura di colori forti e vivaci è istintiva e ad essere tale non era solo il “come”, ma anche il “quando”: la sua costanza nel produrre arte era praticamente inesistente, e alternava periodi di grande produttività ad altri di immobilità.
Basquiat porta sulla tela emozioni profondissime, necessità di scaricare attraverso la pittura urgenze personali inderogabili che si collegano anche ai messaggi di protesta sociale molto presenti nelle sue opere, soprattutto riguardanti l’abuso di potere da parte della polizia e la condizione sociale degli afroamericani negli Stati Uniti: Irony of the Negro Policemen denuncia proprio “l’ironia” di un uomo nero che diventa poliziotto, passando da oppresso ad oppressore. Il suo legame alla comunità afroamericana si esprime proprio anche attraverso al suo stile “tribale” che a volte ricorda le maschere del folklore africano.
Basquiat è un’icona del suo tempo e della sua condizione di artista, sia dal punto di vista personale che sociale, diventando una bandiera dei ragazzi oppressi da una metropoli che li calpesta e li considera solamente quando diventano potenziale fonte di guadagno.

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