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ANISH KAPOOR A VENEZIA

di Anna Rubbini


Una magnifica esperienza la visita alla mostra di Anish Kapoor a Venezia che sta per concludersi il 9 ottobre prossimo.

Kapoor, di origini indiane ma naturalizzato britannico, è il primo artista contemporaneo a essere celebrato dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia, in un confronto straordinario con le opere storiche della collezione che provengono in buona parte da Palazzo Manfrin, l’altra sede che accoglie la più recente produzione dell’artista.

Questa incredibile e straordinaria mostra è stata esplicitamente realizzata in concomitanza con la 59esima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, pur non facendone parte, anche per ufficializzare il nuovo corso del settecentesco palazzo veneziano nei pressi del ponte delle Guglie, per molti anni chiuso al pubblico e in disuso: infatti, è stato recentemente acquistato proprio dalla Anish Kapoor Foundation, ed è oggetto di un radicale progetto di restauro guidato dall’architetto Giulia Foscari / UNA studio, sviluppato in collaborazione con FWR associati.

Se per l’artista l’esposizione ha rappresentato un grande privilegio per l’accostamento alle prestigiose collezioni delle Gallerie dell'Accademia, tra le più belle e ricche raccolte di pittura classica di tutto il mondo, il vero significato di questo confronto è insito nel credere che l'Arte debba sempre confrontarsi con ciò che è accaduto prima, per acquisire un significato autocritico e un valore espressivo più compiuto.

Le Gallerie dell'Accademia rappresentano per lui una sfida meravigliosa e stupefacente, manifestando il suo sentimento di profondo legame con Venezia, con l’architettura che la rappresenta e, al contempo, con il suo forte coinvolgimento con l’Arte contemporanea.

Taco Dibbits, direttore del Rijksmuseum di Amsterdam e storico dell’Arte, ha curato questa mostra conferendole un carattere retrospettivo: comprendendo ben 60 opere della carriera artistica di Kapoor, ha voluto documentare i momenti salienti e significativi delle sue evoluzioni, sino a giungere a presentare una nuova serie di lavori inediti dal particolare acume tecnico e scientifico, interpretato e tradotto in risultati di grandi dimensioni.

I nuovi lavori, decisamente eccezionali, sono esposti per la prima volta nella loro originalità esecutiva, attraverso l’innovativo utilizzo di nanotecnologia al carbonio, così come i recenti dipinti e le sculture che testimoniano l’energia e l’utopistica creatività dell’attuale produzione dell’artista britannico.

Come esplicita il curatore e si evince dal catalogo, la grande capacità di Kapoor è di produrre risultati che si realizzano nell’attimo in cui li sperimentiamo.

Negli spazi imponenti delle Gallerie storiche e del riacquisito palazzo presso le Guglie, sono esposti verosimilmente il tempo e l’evoluzione; ovvero, parafrasando Dibbits, sia l’un che l’altra sono in mostra ma anche in divenire.

Le opere esistono in continuo mutamento, siamo spettatori di questo trascorrere che investe le sculture e i quadri esposti nello stesso momento della loro generazione o simbolica degenerazione.

L’interazione tra Scienza e Arte ha permesso a Kapoor di realizzare lavori che si collocano all'interno del secolare linguaggio della pittura, in modo particolare in quella conservata nelle Gallerie Veneziane, oggetti che si pongono in una composita comunicazione con la collezione storica dell'Accademia, rivelando in modo straordinario e prodigioso un approccio percorribile e ricco di suggestioni immaginative ed emotive.



In modo evidente e senza dubbio stupefacente, questa mostra veneziana guarda a un linguaggio interiore che è sempre stato centrale nella pratica di Kapoor.

Anish Kapoor presenta nella prima sede all’Accademia una serie di lavori fondamentali, sculture del periodo di debutto eseguite col pigmento, come 1000 Names, accanto a realizzazioni sul vuoto, e grandi installazioni dell’epilogo produttivo mai visto prima e create con il Kapoor Black, un materiale nano tecnologico di suo brevetto dalla versatilità innovativa e capace di assorbire più del 99,9% della luce visibile.

Il rivestimento dell’oggetto come membrana tra il mondo interno ed esterno, ha sempre fatto parte dell’indagine stilistica poi messa in pratica da Kapoor in modo originale e perfezionato per l’occasione. Le sculture conseguite con Kapoor Black, all’occhio dello spettatore sembrano vive, inducono a riguardare l’oggetto per scoprirne la profondità ed il limite reale, forme sospese e mutevoli che appaiono e si ridefiniscono ad ogni sguardo.

Il motivo della piega nella pittura rinascimentale viene riproposto nell’Arte di Kapoor come un sintomo di trascendenza, l’artista attraverso la cancellazione del contorno e del bordo, esprime l’occasione di superamento dell’essere originario sino ad oltrepassarlo, a superarne il limite oggettivo. Parallelamente, l’indagine sulla profondità e l’assenza di materia spinge a individuare il mistero che soggiace l’oscurità, una spazialità negata della stessa realtà fisica e psichica della mente umana.

Accanto a questi lavori che sono straordinari nella capacità di rendere profondità in assenza di luce e colore, altri nuovi dipinti estremamente materici sono esposti per la prima volta; recenti realizzazioni che forniscono il motivo di confronto e dialogo con le opere storiche custodite nel Museo di cui accennavo inizialmente.

Nella grandiosa, e per me più straordinaria, installazione Pregnant White Within Me (2022) la parete architettonica della sala delle Gallerie dell’Accademia, si dilata enormemente in modo estroflesso, come la pancia di una gestante, indicando una ridefinizione dei limiti tra corpo, edificio ed essere. Una ricomposizione dello spazio che, attraverso questa realizzazione, ora respira e si riproduce, immettendo nel luogo l’anima dell’autore.

In un modo che agli ignari spettatori può sembrare impossibile, l’invito ad approfondire il percorso artistico dell’autore: l’esposizione dimostra come le produzioni di Kapoor assorbono ed estendono il vuoto all'interno e intorno a loro in aree angoscianti, eppure andando oltre l’allestimento, ricreando ambienti densi di magia e stupore.

La sede di Palazzo Manfin accoglie il pubblico in un atrio quasi totalmente occupato da una montagna capovolta, una stalattite rosso sangue di silicone verniciato, enorme alla base e la punta smorzata dal pavimento. Un ingresso sconvolgente eppure magnetico, soltanto l’inizio di un cammino, che conduce ad addentrarsi a vedere oltre; poco più in là si viene attratti da un impercettibile moto rotatorio di una fontana circolare, in fondo alla corte interna parte dell’architettura magnifica dell’edificio, in cui un fluido acquoso sanguinolento è avvolto in un vortice sprofondante.



Un’opera che soggioga e ipnotizza, una prova del significato spazio/tempo e movimento che trasferisce appieno l’atteggiamento creativo di Kapoor.

Turning Water Into Mirror non è che un’altra evocazione del mare in un confronto capovolto, di sovvertimento, come Mount Moriah at the Gate of Ghetto del 2022, lo è in rapporto alla terra, dimostrando come il confronto con elementi primari possa suggerire trasformazioni visive ed emotive decifrabili.

Addentrandosi tra le sale ed i diversi piani del palazzo, si viene accolti da alcune strutture specchianti, ponendoci in distorta relazione con il mondo, la terra, l’universo; tutti gli elementi e gli astanti al cospetto vengono mescolati e capovolti, come nelle costruzioni quali Blood into Sky e Destierro, in cui un auto scavatore blu trasporta una montagna di terra rossa, assumendo simbolicamente il significato di rovesciamento grandioso, similarmente a quanto rappresentano i tempi in cui viviamo.

Accanto ad installazioni come queste, sculture dal carattere più raffinato, etereo ed elegante, in alabastro massiccio, materiale che raggiunge, nell’imponenza della massa cubica, una incredibile e magistrale leggerezza scultorea offerta dall’immagine geometrica.

E se il colore rappresenta il peso che il pigmento è in grado di trasmettere alla saturazione visiva, contribuendo a rendere materica la trasformazione degli elementi e, dunque, del prodotto artistico, il percorso conduce ad un finale imponente e se vogliamo tragico, un sole che incombe su una massa di silicone rosso che si sparge dilatandosi sul pavimento,

avvolgendo l’edificio in un composto originario di vita e di morte, in un circolo temporale che rappresenta l’essenza stessa della nostra esistenza.

La mostra di Anish Kapoor è senz’altro un evento che resterà nella storia dell’Arte contemporanea a Venezia, riconfermando non solo la grande apertura e attenzione della città alla creatività più attuale, ma il suo intrinseco significato di prestigio artistico e di fonte d’ispirazione per gli autori e di ogni tempo.


29 settembre 2022, Anna Rubbini


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