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ALLA FONDAZINE SANDRETTO RE REBAUDENGO LA MOSTRA "SPACE ODDITY "

di Brando Tagliapietra


La recente riapertura di fine Aprile della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ha incubato un progetto originato durante il lockdown proprio in virtù del distanziamento forzoso del pubblico dal luogo espositivo, che si è concretizzato nel progetto Space Oddity.

Lo spazio dello straniamento, o della stranezza è il risultato del mutamento della cognizione della sua estensione conseguente all’epidemia di Coronavirus .

Spazi e corpi al tempo del distanziamento sociale, degli accessi contingentati, delle entrate esclusive, della separazione fisica tra gli individui, ha inequivocabilmente mutato la percezione del corpo e la sua relazione al territorio in cui si muove, sia in senso individuale che collettivo. L’impedimento dell’assembramento è diventato un concetto vacuo, che si è tradotto nei fatti in dualismo o al massimo ad un interazione di gruppo, terrificando lo stato psicologico dei componenti nel rapporto sociale.

Questa distorta percezione dello spazio vitale, legato strettamente alla sicurezza fisica, ha provocato anomalie nella attuale situazione di normalità, fatta di circospezione e prudenza nei movimenti e negli atteggiamenti. L’ambiente e le relazioni si sono al contempo dilatati e desertificati, imponendo un loro esplicito ridimensionamento.

Space Oddity è una mostra a cura di Irene Calderoni che, in occasione del 25° anno della Fondazione propone quale nuovo percorso praticabile, esponendo lavori legati a nozioni di superficie, corpo, interiorità ed esteriorità, ma anche di architettura e percezione, offrendo il proprio contenitore come ambito sperimentale di distanza, adiacenza, contorno e limite espositivo. Il risultato è dunque una mappa di contiguità stranita – Oddity significa appunto stranezza - e prossimità staccata eppure imminente; una associazione consapevole e sfuggente in cui il movimento permette la presenza priva di rischi.

Questa nuova consapevolezza della dimensione dell’essere verso il suo mutato habitat trova nel movimento e nella sua armonia, sino a divenire musicale, una rinnovata realtà oggettiva, che raggiunge la sua espressione simbolica della danza.



Nella mostra della Fondazione questa forma interpretativa è il filo conduttore delle opere esposte, nella estrema libertà creativa, offrendo una nuova dimensione di occupazione del territorio e della sua reimmaginazione, attraverso il movimento, l’azione, lo spostamento, il gesto, la pratica artistica.

La molteplicità di forme espressive che si relazionano al concetto di spazio è dunque il trait d’union che accompagna lo spettatore nel percorso espositivo, conducendo la sua immaginazione a prefigurare nuovi ambiti di vita possibili e di realizzarli attraverso il movimento ed un rinnovato dinamismo abitativo.

Questo a conferma che il nostro recente vissuto, ha reso attuale un nuovo concetto di ambiente vitale come luogo circoscritto e circospetto, occupato da internet, da cellulare, da videocall, da ore d’aria e da coprifuoco. Un'esperienza rivelatasi per molte generazioni nuova, anomala ed alienante.

Internati nell'ambito domestico, privati della consueta possibilità di movimento attraverso contesti diversi, da quello pubblico a quello privato, da quello lavorativo a quello del tempo libero, siamo stati costretti a riconfigurare la relazione tra il nostro corpo, quello degli altri e dei luoghi che abitiamo.

Il distanziamento è diventato l’imperativo che ha originato la comunicazione, verbale e scritta, è mutata la nozione di prossimità e di lontananza, dimensioni dal significato aggravato dall’impossibilità di viaggiare, di lavorare, di superare i confini, entità estranee di cui ora più che mai sentiamo l’esistenza fisica. La globalità è diventata puramente virtuale, la distanza l’ignoto, ma il movimento è rimasto, forse, il nostro pensiero primario, assumendo il significato di libertà.

Space Oddity è un evento che è stato concepito come una location di allenamento per esercitare sperimentalmente nuovi movimenti e relazioni fisiche e sociali, le opere diventano esempi di nuova spazialità in un rapporto coreografico fra loro, sino alla massima espressione artistica performativa.

Tant’è che la danza e il movimento è, come anzidetto, il filo conduttore che permette di trasformare l'ambiente ed eliminare idealmente il suo limite strutturale, in una relazione che è regola e dinamismo, vincolo esecutivo e libertà creativa.



Estremizzando il concetto, il rapporto spazio/movimento, regola/espressione, si arriva al capovolgimento teorico, la danza, nella sua accezione di performance, si antepone alla coreografia, alla regola esecutiva, come avviene nell’opera scelta ad apertura del percorso espositivo: l’esempio per eccellenza di potenzialità creativa, coreografica, è rappresentato dalla danza di Trisha Brown filmata da Babette Mangolte, Water Motor, che dà avvio alla mostra esplorando ciò che si evince dalle parole della stessa interprete: “l’intelligenza di ciò che non si conosce, del corpo che si muove in un luogo ignoto”

Molti gli artisti di diversa formazione ed applicazione artistica inclusi nella rassegna:

Micol Assael, Tauba Auerbach, Janis Avotins, Julie Becker, Angela Bulloch, Ludovica Carbotta, James Casebere, Harun Farocki, Fischli&Weiss, Giuseppe Gabellone, Douglas Gordon, Alicja Kwade, Sharon Lockhart, Mark Manders, Babette Mangolte, Esko Mannikko, Paul McCarthy, Kelley Nipper, Diego Perrone, Paul Pfeiffer, Charles Ray, Thomas Ruff, Hans Schabus, Markus Schinwald, Gregor Schneider, Robert Smithson, Avery Singer, Song Tao, Hiroshi Sugimoto, Lynette Yiadom-Boakye, Clemens Von Wedemeyer, Pae White.

In questa nuova forma di consapevolezza di rapporti con l’esterno e con la società, la proposta espositiva della mostra accomuna organicamente ed armonicamente opere storiche accanto a quelle più recenti della sua Collezione, offrendo allo spettatore una notevole varietà di stimoli esperenziali e di riflessione, nonché un tracciato storico del lavoro della Fondazione.

La mostra è visitabile sino al 13 giugno 2021.



4 giugno 2021, Brando Tagliapietra

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