Non sono di certo Batman e i suo gadget, l’Uomo Ragno e le sue ragnatele o Superman e il suo mantello, ma anche le figure di vertice di ogni settore, dagli imprenditori ai capi di stato, hanno un “costume” riconoscibile e ben chiaro nell’ immaginario comune, condiviso nelle origini, nei pezzi e nei valori. Il potere mediatico e comunicativo dell’abbigliamento viene preso sempre più sul serio comprendendo l’importanza del suo significato, allargando i mezzi grazie ai quali questi personaggi trasmettono i propri messaggi. La loro natura pubblica fa si che sia necessario uno studio a 360 gradi dell’immagine e che nulla sia lasciato al caso.
È importante tuttavia fare una premessa opportuna ai fini del tema; per evitare di addentrarmi con machete e torcia in una enorme e complessissima tana del Bianconiglio, l’analisi dei vestiti del potere si limiterà a considerare il potere nella sua concezione esclusivamente istituzionale, laica e occidentale. Non considererò dunque ambiti come le vesti religiose profondamente codificate e ricche di significato, vestiti tradizionali indossati dagli alti ranghi come dimostrazione di legame con storia e territorio, come non saranno analizzati quelle parti di abbigliamento e accessori femminili notoriamente ricchi di carica erotica; questi non sono infatti “poteri” totalizzanti e universali, e nonostante le spiegazioni sia scientifiche che socioculturali siano esistenti ed esaustive, non sarebbero esenti ad esempio da componenti personali e generazionali di gusto.
Per un periodo secolare che va dal medioevo alle epoche pre-industriali, a distinguere i comandanti dai comandati aveva grossa parte la ricchezza e le possibilità economiche. I potenti si dimostravano tali non solo per l’influenza e il comando esercitato, ma perché la loro immagine era ricca di elementi non disponibili al comune cittadino, che sancivano il loro status e la loro distanza gerarchica con quest’ultimo, un potere dato loro direttamente da Dio: pellicce pregiate, velluti e sete di colori esotici difficili da ottenere, ricami intricati che solo i migliori artigiani potevano realizzare, gioielli e pietre pesantissime, abiti, gonne e parrucche che aumentavano a dismisura le proporzioni corporee era il modo dei governanti di dimostrare il loro potere con opulenza e superiorità. Nella società odierna queste dimostrazioni vestimentarie di forza sono cadute in disuso, e nelle poche monarchie ancora esistenti vengono usati solamente in particolari cerimonie ufficiali, ma hanno ora una forte connotazione di reliquia storica, un’ usanza tradizionale senza troppo carattere reverenziale.
Con il potere sempre maggiore delle borghesie e la trasformazione delle monarchie in organi costituzionali, l’abbigliamento si fa sempre più pratico, sobrio ed elegante; scompare il carattere di opulenza, distanza e ricchezza visto in precedenza, e i vertici del potere dell’epoca contemporanea diventano pressoché indistinguibili dall’uomo comune. Nonostante questa riforma dell’abbigliamento, rimane chiara l’esistenza e la persistenza di significati ben codificati per le vesti di chi comanda. Al giorno d’oggi il modo di presentarsi di un potente è talmente noto e riconoscibile da essere inequivocabile ed universale, nonostante non si distinguano i completi di Donald Trump - tranne l’iconica cravatta rossa lasciata lunghissima o le spalline super imbottite - da quelli di un CEO di un’azienda. Come viene comunicata dunque l’autorità grazie all’immagine? Il look di una figura di comando supera che cosa indossa nello specifico, e si affida invece al suo significato più profondo. Nella maggior parte delle apparizioni pubbliche di presidenti, grandi imprenditori e alti funzionari di varie discipline, si vedono indossare completi due pezzi in tinta unita. L’origine dell’usanza è piuttosto chiara: il completo è la divisa per eccellenza dell’eleganza maschile, e per gran parte del Novecento a ricoprire le cariche più alte erano proprio gli uomini. Nonostante il progresso e la presenza sempre maggiore delle donne che ricoprono cariche importanti il completo trascende il genere, dimostrandosi talmente radicato da diventare la divisa di chi comanda, dando forma concreta al detto “portare i pantaloni in casa”. Angela Merkel, Hillary Clinton, Kamala Harris, Margaret Thatcher, Giorgia Meloni e persino la Regina Elisabetta II sono state viste indossare completi - o tailleur, ma la radice è la stessa - in svariate occasioni, con libertà di colori e accessori maggiori rispetto all’austerità dei look maschili. Questo conferma il codice di comando in fatto di vestiti, e non è una prova dell’adeguamento o “sottomissione” della donna all’uomo. Anche perché la prima donna a indossare un completo, di certo, questo non lo avrebbe mai permesso: Coco Chanel creò infatti il primo completo femminile già negli anni Trenta, adattando la femminilità a un abbigliamento più comodo e funzionale alla vita che, in quegli anni, iniziava a concedere alle donne le prime serie libertà, accorciando le gonne sotto al ginocchio, abbassando i tacchi e cucendo pantaloni. Negli anni Sessanta sarà il turno di Yves Saint Laurent che, con fare provocatore creerà “Le Smoking”; non più solo un completo dunque, ma la più alta uniforme maschile dell’alta società, ora che segue e rivela le sinuose forme femminili. Le stesse forme che per gli anni Ottanta, Giorgio Armani spingerà al massimo un mix di fluidità e strutture rigide e spesse con il “power dressing”, portando l’abbigliamento di potere femminile negli uffici come nella vita quotidiana.
Il completo riesce a unire con il giusto equilibrio la praticità dimostrata sia nella mancanza di intralci al movimento sia nella linearità, semplicità e serietà di forme ed elementi: quando i look dei personaggi di rilievo istituzionale sono “tutti uguali” si può dire che non ci sia nulla da vedere, permettendo a chi indossa e chi vede di concentrarsi solamente su parole e azioni. Politici e imprenditori sono così messi a nudo, di loro non si potrà fare a meno che notare nient’altro che le idee. La stessa serietà di cui abbiamo parlato poco sopra permette alle figure di potere di trasmettere fiducia, rispetto e riverenza: le cravatte annodate strette e precise, gli abiti scuri blu notte o neri, la purissima camicia bianca con il colletto affilato e le scarpe immacolate sono quello che qualsiasi cittadino si aspetta di vedere addosso a chi ha in un modo o in un altro potere sulla propria vita. Il centro della cura dell’immagine di un uomo di potere è proprio questo, essere in grado di garantire anche solo a colpo d’occhio la serietà che si professa, per essere presi sul serio e, in un certo modo, anche suscitare soggezione. Le vesti del potere prendono in prestito anche delle caratteristiche dal mondo militare: dalle alte uniformi cerimoniali alle tenute da campo durante gli addestramenti, l’abbigliamento militare e chi lo indossa deve attenersi a delle regole ferree. Nello specifico caso l’eleganza maschile è basato fino alle sue radici più profonde di regole su come e quando indossare determinati pezzi. Vedendo la cosa con un po’ di fantasia, chi decide di imporre e far rispettare regole e autorità è il primo a sottoporsi alle stesse, dettate dagli abiti che decide di indossare, accomunando in una certa maniera sé stesso al popolo.
Le figure di potere non hanno nulla dunque che le contraddistingue nello specifico, adottano anzi uno stile austero e semplice, possiamo dire persino umile nei limiti dell’eleganza. Questo è in realtà l’obbiettivo comunicativo che sta dietro alle loro scelte, la volontà di trasmettere un messaggio di fiducia e rispetto sia dato che ricevuto; una pratica che in realtà appartiene da molto vicino anche a chi l’immagine e la moda la crea proprio: non è affatto raro infatti imbattersi in stilisti dei più grandi marchi vestiti in semplicissimi look neri composti da t-shirt e pantaloni, specialmente quando li vediamo apparire a salutare il pubblico alla fine delle sfilate. Nel momento in cui vanno in scena abiti fantasiosi e intricati e tutti gli spettatori sono vestiti a festa, l’Armani o la Prada di turno indossano un look tutto l’opposto di ciò che hanno creato. Questo perché chi meglio di loro sa che nel momento in cui conta far capire che si fa sul serio, è necessario apparire concentrati e dediti al lavoro da svolgere.
Possiamo definire quindi il completo come il look più serio e diplomatico possibile, ma cosa succede quando chi comanda sceglie di vestirsi più casual? La sostanza del discorso non cambia affatto: le magliette grigie tutte uguali di Mark Zuckerberg, CEO di Meta - anche se ultimamente protagonista di un “rebranding” che lo sta ringiovanendo e togliendogli quell’aria da alieno che veniva accusato di avere - , i lupetti neri, i jeans blu e le New Balance grigie del creatore di Apple Steve Jobs ma anche le tenute da golf di Barack Obama, avvicinano questi personaggi alle persone comuni che incontreremmo ogni giorno, rendendole semplici e “riconoscibili”, fuori dai pattern della fama e del potere. Concetti scardinati, tra gli altri, dai look ora celebrati e ricopiati di Lady D; la principessa, con le sue felpe e giacche oversize, i cappellini sportivi e i jeans infilati negli stivali alti diventò un’eroina “anti-nobiltà”, una donna del popolo e personaggio tra i più amati di sempre. Anche la Regina Elisabetta II stessa, per rimanere in tema Royal Family, è diventata un’icona di stile condividendo le sue manie e passioni in fatto di abbigliamento, di cui capiva a pieno l’importanza. Apprezzava look da campagna con giacche in verde bosco o impermeabili lunghezza metà polpaccio, conditi da colorati foulard in seta che sfoggiava a bordo del suo Range Rover - per guidare tra l’altro, la regina non ha bisogno di patente. I colori di cui rispettava il messaggio - ricordiamo il look bianco indossato appositamente al secondo matrimonio del principe Carlo con Camilla, dopo Lady D - e che usava per far intendere il suo stato d’animo o i cappelli, simbolo di una moda passata ma che rese attuali, iconici e immancabili nel suo look usati per sostituire corone e tiare. La regina utilizzava l’abbigliamento come mezzo di comunicazione principale, superando il suo compito di rappresentante silenziosa diventando incredibilmente pop.
La comunicazione tramite l’immagine si estende anche a chi affianca le personalità di potere: le first lady di tutto il mondo hanno gli occhi puntati su di sé tanto quanto i propri mariti e diventano perciò veicolo degli stessi messaggi, da qui nasce l’importanza di avere un immagine curata e studiata. Non solo comunicazione, ma vera e propria storia; è infatti ben dal 1912 che lo Smithsonian National Museum of Amercan History conserva gli abiti usati dalle first ladies all’inaugurazione del mandato del presidente. Le first lady si concedono più libertà per quanto riguarda la scelta dei look e delle firme indossate: Michelle Obama, sin dagli inizi delle apparizioni pubbliche assieme al marito ed ex presidente degli Stati Uniti, ha sempre dimostrato grande interesse nell’ abbigliamento, e diventa mezzo di comunicazione di valori nazionali quando inizia a scegliere per i suoi look esclusivamente stilisti americani emergenti e optando a volte addirittura per pezzi vintage. Al contrario Melania Trump e il suo team incaricato di curarne l’immagine ha sempre scelto di vestirsi di creazioni di vari stilisti in particolare europei, scegliendo i connazionali per la prima volta quest’anno, al secondo mandato del marito. Si è presentata al giorno dell’insediamento con un tailleur blu navy firmato Adam Lippes, stilista americano con alle spalle una collaborazione con Ralph Lauren. A colpire è stata la serietà del look completato con un cappello rigido dello stesso colore a coprirle gli occhi; una resa finale quasi funerea, dal significato ambiguo per il contesto della giornata che solitamente inonda i volti dei protagonisti di fierezza e ambizione.
Per chi ancora lo pensasse, ribadiamo dunque che l’abbigliamento possiede un potere tanto grande quanto silenzioso. E per chi il potere lo maneggia quotidianamente, è essenziale che i vestiti siano lo specchio di ciò che si comunica, persino uno strumento di propaganda quasi inconscio, volto a rafforzare parole, pensieri e personalità di chi li indossa.
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