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THAT’S AMORE

“THAT’S AMORE” la nuova rubrica a cura di Samuele De Marchi prosegue con il terzo appuntamento, mantenendo il suo carattere originale e inconsueto, con l'attenzione rivolta ad alcuni elementi del costume e della cultura italiana, cercando di affrontare specialmente quelli peculiari ed autoctoni della nostra identità.

Un particolare punto di vista che vuole esplorare e comprendere la loro natura, profondità e origine in maniera critica ma serena, con rispetto e massima curiosità in un'era così eclettica com'è quella della globalizzazione .

Tenendo sempre presente che, in qualunque modo appaia e si manifesti, esportare e diffondere cultura italiana è un privilegio, ma inevitabilmente comporta sfide e azzardi di chi la reinterpreta e ne è, a modo suo, ammiratore.


A CEFALÙ L’ARTE È ALLA PORTATA DI TUTTI


di Samuele De Marchi










Quel giorno raggiungere Cefalù fu leggermente drammatico; il traffico di agosto si faceva sentire, ma dopo un’escursione voluta per una stradina di montagna a cui noi, figli della Pianura Padana non siamo di certo abituati, raggiungemmo la meta. La prima cosa che notai fu il sole, talmente luminoso da non permetterti di guardare più in alto dell’orizzonte senza che ti facessero male gli occhi. E poi la città: non esagero quando dico che quello che ho visto mi ha ricordato Montecarlo o Nizza, il tipo di somiglianza forte che c'è tra un padre e un figlio; il saliscendi di strade vivissime, l’ampio lungomare sollevato rispetto alla spiaggia e i palazzi chiari attorno, ringraziavano l’intensità dei raggi del sole ricambiando il saluto con altrettanta potenza. Quel giorno ci siamo concessi una giornata di mare meno avventurosa delle precedenti cercando la nostrana riviera romagnola anche quando siamo lontani da essa, scegliendo lettini e ombrelloni invece di scogli e escursioni. Il mare era del tutto innocuo, affollato, caldo. La sensazione di sicurezza veniva ribadita dal golfo di Cefalù, che annullava l’altrove e calmava le acque.

Dopo una giornata di spiaggia, con la pelle e la testa cariche dell’ebrezza del sole quasi al punto dello stordimento, visitammo il centro storico della città con alte aspettative, assolutamente non deluse.

Salimmo le mille vie fermandoci con la testa alta fino ad arrivare nella brulicante piazza del Duomo riconosciuto come patrimonio UNESCO, il primo e vero scorcio della Sicilia che mi ero immaginato fino a quel momento; i palazzi e la chiesa vissuti, anch’essi abbronzati dal sole, un momento e luogo inequivocabilmente mediterraneo, di quei posti che ti aspetti rimangano sempre affollati ad ogni ora del giorno e della notte.

Durante la nostra visita serale, ci misi un po’ per accorgermi di quello che stava accadendo attorno a me: inizialmente sembravano soggetti saltuari e isolati, solamente coincidenze; ma uno, due, dieci indizi fanno una, due, dieci prove, e dentro al bellissimo palazzo e sede del comune di Cefalù,  l’Ottagono di Santa Caterina, capii i motivi di tutti quei personaggi: la città stava ospitando un simposio per artisti, uno spazio espositivo organico con le vie e le strutture della città madonita.

“Cefalù città degli artisti”, giunta alla sua undicesima edizione è un evento  dalla durata di una decina di giorni organizzato e ideato dal presidente dell’omonima associazione Dott. Roberto Giacchino - anch’egli scultore - , assieme al patrocinio del comune di Cefalù, l’Accademia di Belle Arti “Michelangelo” di Agrigento e la collaborazione nel ruolo di direttore artistico della Prof.ssa Rosalba Gallà. 


Faro di Punta Sottile, Marisa Battaglia, 2015, olio su tela

L’idea del progetto nasce dal desiderio di ribadire al mondo quanto la città sia stata di grande ispirazione e scenario perfetto per molti artisti internazionali e non, tra cui ricordiamo come esempio di prestigio Nuovo Cinema Paradiso del 1988 diretto dal maestro Giuseppe Tornatore che ambienta alcune scene proprio a Cefalù. Il contesto di ricchezza culturale e paesaggistica è lo sfondo perfetto per lasciare agli artisti la libertà di esprimersi e farsi conoscere, ammirati dai passanti curiosi per il loro lavoro e durante il loro lavoro, dato che per i tre giorni di estemporanea i circa cinquanta artisti partecipanti oltre a mostrare un’antologia delle loro opere, produrranno arte sul momento, rendendo pubblico e soggetto all’ammirazione dei passanti un momento così intimo ed importante come quello della creatività.

Gli artisti presenti, provenienti da diverse parti d’Europa, spaziano dagli studenti di accademie ai più esperti, ma sono tutti quanti partecipi di un momento di condivisione positivamente livellante e d’ispirazione reciproca, dato il nobile scopo ultimo dell’evento di creare uno spazio di condivisione ed incontro per persone e discipline libero da ogni pregiudizio o limite, garantendo il più alto grado di inclusività possibile rivolgendosi apertamente anche a categorie di persone fragili o con difficoltà e riservando una sezione particolare ai bambini dal nome, appunto, de “Il Simposio dei bambini”.

Tra i nomi e lavori che mi sono rimasti più impressi ci sono Marisa Battaglia con le sue opere paesaggistiche dedicate alla salvaguardia del proprio territorio e sensibilizzazione sulla protezione della natura, dal taglio lirico e ogni tanto onirico; l’artista, che ha presentato più volte le opere al Salon International des Rencontres Picturales a Parigi, non limita la sua impronta solo sulla tela ma decora anche vasi, lampade e tessuti, specialmente in seta raffinata.

Giusy Maffei a.k.a Babush, è invece una cefaludese doc che prende il suo nome da un termine arabo, in siciliano convertito in “babbaluci” che significa “lumaca”: il panorama di Cefalù infatti ricorda proprio una lumaca, dove le torri della cattedrale sono le antenne e la rocca che fa da guardia alla città ricorda il guscio dell’animale. La sua è una produzione fatta di piccoli momenti della sua infanzia e degli affetti al suo territorio, riferimenti giocosi e scherzosi ad esempio alle frasi iconiche degli anziani e una nostranizzazione di opere come la pipa di Magritte, trasformata in un cannolo.

Proseguiamo con Mauro Carmelo Scacciaferro, artista complesso che spazia tra più discipline, medium di produzione e ispirazioni, in particolare espressionismo, realismo e astrattismo. Il suo è un modus operandi che si rifà a quello di Gerhard Richter, nonché il soggetto della sua tesi finale per il percorso all’Accademia di Belle Arti di Palermo.

Termino la presentazione di parte degli artisti presenti con Masdada, pseudonimo del giovane artista italo-tedesco Massimiliano Gülden: la sua è una arte fortemente inconscia e psichedelica, che si impegna a esprimere ciò che sta più nel profondo ancora prima che venga sopita dal nostro stato conscio e raggiungere concretezza, forme astratte coloratissime simili a campi elettromagnetici e impulsi neurali, che raramente lasciano spazio a forme figurative.

Nelle edizioni precedenti gli artisti venivano guidati ed ispirati da un tema a cui avrebbero aggiunto la propria visione, personalità ed esperienze di vita; ma nel 2024 la libertà, fondamento di questo progetto, ha lasciato carta bianca ai suoi partecipanti lasciando che sia la vicinanza al pubblico, ai colleghi creativi, alla città e alla propria intimità ad essere i loro pennelli, scalpelli e colori.

La natura libera della Città degli Artisti non viene solamente dai protagonisti di queste giornate, ma portata e percepita anche dai visitatori; la possibilità di camminare liberamente lungo Corso Ruggero e l’Ottagono di Santa Caterina senza rispettare alcun ordine, percorso o ossequioso silenzio museale, rende l’esperienza facile da apprezzare a chiunque capiti di testimoniarla, diventando una piacevolissima sorpresa così come è stato per me e ovviamente una grande occasione per gli artisti di farsi conoscere. L’arte di Cefalù città degli artisti è facile da vivere e non è limitante o d’intralcio a chi vuole magari solamente visitare il centro storico. Per questo i dati, raccolti e analizzati a tutte le edizioni, parlano di un grande successo sia per via dei turisti ma anche grazie alla partecipazione positiva da parte dei cefaludesi, ed è sempre bellissimo vedere una popolazione attiva e propositiva verso iniziative di carattere culturale per la propria terra. 

La visita si pone quindi alla portata di tutti, un puro e sincero evento promozionale livellante per gli spettatori anche grazie all’impostazione semplice e alle infrastrutture a disposizione senza far sentire nessuno fuori posto o in soggezione, che si parli di semplici passanti o di addetti ai lavori. Da notare è la presenza minima della “segnaletica museale”: i pannelli e le didascalie  lunghe e minuziose dal carattere biografico e quasi scientifico che spesso troviamo all’interno di una mostra o vicino alle opere, nel contesto delle vie affollate della città rendono la visita meno impegnativa, con la controindicazione tuttavia di fornire poche informazioni sui contenuti che si troveranno e sul loro scopo, quindi “scarificando” una concezione più formativa dell’esperienza. Ciò non è da vedere necessariamente come una lacuna ovviamente, così facendo però si lascia tanto spazio all’intuito dello spettatore - che esso sia di passaggio o del mestiere - senza introdurlo e con il rischio di togliere autorevolezza al lavoro fatto dall’organizzazione, che però viene espresso dallo spazio più museale-contemplativo dell’Ottagono di Santa Caterina, con vista sulla splendida piazza del Duomo. A parte dunque la sezione “ufficiale” nell’Ottagono in cui vengono esposte due opere di ciascun partecipante, lungo la strada artista e spettatore sono seduti uno a fianco all’altro annullando la distanza sia fisica che immaginaria che spesso circonda queste figure, spesso inavvicinabili e protette da contesti espositivi asettici e poco stimolanti. Sebbene una modalità di presentazione come questa possa a tratti richiedere un po’ più di concentrazione per osservare le opere a causa della vitalità delle vie contro invece un ambiente adibito esclusivamente all’esposizione artistica, rende l’esperienza più scorrevole, specialmente per chi di arte non è particolarmente appassionato o non è un addetto ai lavori. La partecipazione libera viene espressa anche in questo modo, restituendo come risultato ultimo un progetto coerente sotto tutti i punti di vista: chiudendo artisti ed opere in una sala il rischio sarebbe ovviamente quello di limitare la loro visibilità - mentre è proprio quello che cercano - , ma facendo assomigliare la presentazione dei contenuti a una sorta di “mercato locale”, modalità di presentazione dei contenuti vicina a qualsiasi persona e lontana dall’ufficialità che dell’arte, a tratti, annoia e spaventa.




15 Settembre 2024, Samuele De Marchi



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