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Letteratura

Interviste a scrittori e recensioni di libri, letteratura d'autore e autori emergenti.

< Ciao! > - Walter Veltroni

di Anna Rubbini

E’affascinante e curioso introdurre Walter Veltroni  come romanziere, sapendolo intellettuale, militante, persona che si è sempre spesa per le giuste idee, per portare avanti una causa politica ma soprattutto sociale.

Tuttavia, con la scrittura, coerentemente alla sua personalità, egli cerca di interpretare una necessità di cambiamento, un bisogno di portare alla luce contenuti, valori, ideali e sentimenti.

“Non serve avere potere per fare politica”, è questa la chiave interpretativa delle ragioni che hanno portato il pubblico a seguire Walter Veltroni nella sua carriera di scrittore.

Con questo romanzo egli intende ritrovare la sua storia, la sua identità, attraverso il coraggio e la sensibilità di mettersi “a tema”, di porsi in un confronto serrato con il padre, sempre desiderato e cercato e “inverosimilmente ritrovato”, in un assolato pomeriggio d’agosto, nella città natale.

La sua Roma, attraverso uno stratagemma letterario definito “realismo magico”, fa da insolito scenario nel torrido caldo stagionale, nell’assenza dei turisti e la lontananza della popolazione politica, nella sua bellezza straordinaria e speciale se raccontata da un romano, durante una passeggiata in un mezzogiorno di ferragosto, momento di luce e di illuminazioni.

La cifra del suo racconto è proprio la luce che accompagna il pomeriggio e che pare non  voglia finire come la sua voglia di raccontare e di dialogare con il padre; inaspettatamente apparso sul pianerottolo di casa, la stessa di sempre, rincasando, quasi a voler prolungare i nostalgici pensieri con la conversazione della vita, sino al tramonto della giornata.

Veltroni sente il bisogno di accendere la luce sul buio della sua esistenza , sente il bisogno di cercare qualcosa che sfugge per illuminare il proprio tempo, la propria vita e darle così un senso.

E’ arrivato ad un punto, dopo la molteplicità di cose che ha fatto, in cui  scrivere questo romanzo  è l’unico modo per capire le ragioni della propria esistenza.

Senza questo tributo non sarebbe possibile passare il testimone alle nuove generazioni.

Una lettura che cattura progressivamente nell’abile intreccio tra narrazione e immaginazione, tra ricostruzione storica e biografica, un libro che nasce dalla necessità di compensare attraverso un viaggio immaginario, un’assenza troppo precocemente percepita da un bimbo di un anno e gravemente subita da un padre ragazzo di 37 anni.

La fascinazione per i luoghi abbandonati, per gli sconfitti, per i deboli  non sono altro che lo specchio di una figura di padre privata da un avverso destino, difficile da razionalizzare nella vita di un uomo, se non prediligendo lo schierarsi sempre, nella politica e nel privato, dalla parte di coloro che per indole si rendono più interessanti e a sé stesso affini.

Il romanzo è dunque il racconto di un dialogo impossibile tra padre trentasettenne e figlio sessantenne, in un’età in cui i ruoli dovrebbero essere capovolti, abbracciando un tema di grande attualità poiché la nostra società è una società che và via via perdendo i padri e si va’ strutturando, per dirla con le parole dell’autore,  in forma più “orizzontale” di un tempo, perché i ruoli sono ora meno distinti e talvolta interscambiabili.

La grande solidarietà che la lettura di Veltroni riscuote è proprio nel rapporto di “assenza” tra padri e figli tipico della nostro presente, anche quando il padre esiste: mentre il rapporto con la madre è sempre, e sempre stato, basato sulla “certezza” della sua presenza, il rapporto con il padre va’ “conquistato”: questo dialogo immaginario tra Veltroni ragazzo padre e Veltroni sessantenne figlio, esprime un sentimento ed un bisogno realistico e comune di confronto.

Un dialogo incominciato proprio con quel “CIAO” che diventa titolo del libro e che fantasticamente è durato il tempo di un mezzo giorno, sino al suo tramonto, traguardo di luce e di parole.

Attraverso questo colloquio sofferto, per rievocazioni e sentimenti inespressi, Veltroni  manifesta una presa di coscienza che il traguardo della vita non è mai dove si pensa potrà essere ma si avvicina e si presenta  spesso inesorabilmente “prima”, tant’è l’urgenza di cercare di fare in tempo il maggior numero di cose possibili per dare significato all’esistenza.

Ciononostante egli non ha vissuto l’assenza del padre come un trauma, grazie ad una figura materna straordinaria, capace di interiorizzare il dolore attraverso un’apparenza sempre serena e allegra, degna del miglior Benigni nella “Vita è bella”; tuttavia l’assenza paterna in certi momenti dell’infanzia lo faceva sentire in una imbarazzante posizione di svantaggio, davanti alle disarmanti curiosità degli altri bimbi, addirittura “diverso”.

Per dirla con le parole dell’Autore,  “Senza padre si diventa grandi prima. Forse si diventa grandi meglio!”, per dire che il dolore ti priva ma ti risarcisce dandoti una maggiore attenzione e sensibilità verso gli altri, persino una maggiore profondità umana. Una ferita, quella di Veltroni, compensata dal mito del padre, grande personalità radiofonica e poi televisiva, giunto all’apice della carriera come direttore del Telegiornale.

E questo colloquio diventa anche occasione per parlare dell’Italia, di quella del padre caratterizzata dal fascismo e dalla ricostruzione per poi interrompersi bruscamente lo stesso giorno dell’affondamento dell’Andrea Doria, il 26 luglio 1956; e l’Italia del figlio, quella che, nella storia dell’umanità nel mondo evoluto è l’Italia della generazione che sta’ meglio ma che, paradossalmente, è composta da individui incattiviti, senza sorriso, imbruttiti da relazioni fra persone senza bellezza interiore, privi di quelle energie ed entusiasmi che caratterizzavano le vite, se pur brevi e difficili, dei loro padri. Si è persa  soprattutto la bellezza dello stare assieme ed insieme intraprendere la vita, affermando, attraverso la comunanza di intenti e ideali, la voglia di cambiare il proprio futuro.

La stessa riproduzione dell’immagine della quarta di copertina non è casuale, il  Veltroni direttore del TG tra i suoi amici collaboratori con il braccio teso verso l’indefinito, è frutto di una scelta che vuol essere   rappresentativa del presunto, quanto idealizzato,  sentimento di suo padre: egli idealmente indica al figlio un posto dove andare, una meta da raggiungere, un orizzonte dove continuare a cercare verso l’infinito, sognando  il destino che si deve ancora realizzare.

In questo risiede, per Veltroni, l’insegnamento fondamentale che il padre non ha potuto dargli e che attraverso questo dialogo immaginario egli ha cercato in qualche modo di restituire: attraverso la fantasia del racconto si afferma l’idea che non bisogna mai rinunciare a un ideale, che si realizza nella vitale passione di ascoltare storie, di raccontarle, di inventarle e facendolo, continuare sempre ad  emozionarsi.

La bellezza della fantasia asservita all’invenzione del racconto consente ad ognuno di noi di vivere meglio la nostra vita ma anche di attraversare quella di altri, questa è La meraviglia!

E forse, come cita Veltroni con le parole di Borges, “di essere più giusti”, o almeno sperare di esserlo, emozionandosi .                                                                                                                                                                                          

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