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ARTE

 

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“Certe giornate indimenticabili”

 
Bettina e Brajo, il salotto di casa Fuso, con Moravia, Argan, Guttuso, Burri... Dipinti, disegni e ceramiche

di Martina Pazzi

Sono 57, i dipinti, i disegni e le sculture della collezione Fuso, frutto, fra gli altri, di lasciti e donazioni, da parte degli amici-artisti già citati. Quaranta, i dipinti di Bettina, quasi tutti inediti. Ventinove, quelli di Brajo. Oltre alle opere, in totale 126, è possibile ammirare il salotto dei Fuso, così come si presentava nel Torrino di Palazzo Cesaroni fino agli anni Sessanta del secolo scorso, nella sala affrescata situata al primo piano di Palazzo della Penna. E se un tipo di approccio quantistico può essere applicato anche alle scienze umanistiche, all’arte figurativa e plastica, la mostra può essere ripercorsa non solo nella quantità delle opere esposte nelle tre sedi che la ospitano, ma anche nelle sezioni in cui è ripartita, sezioni che guidano il visitatore in un percorso museale che volge all’interno di una delle stagioni più fervide, vivaci, anti-provinciali, di una Perugia “dilatata nella casa dei Fuso”, come ebbe a scrivere Nini Menichetti 35 anni orsono.

Bettina Fuso, una pittura “spontanea e fresca”, secondo Gerardo Dottori: galleria di ritratti, paesaggi, tetti, soggetti sacri...

Ritratti e figure, nell’arco degli anni Trenta e Quaranta; paesaggi e tetti negli anni Cinquanta e Sessanta, con uno spaccato sull’arte sacra nello stesso periodo: si dipana lungo l’asse di queste due direttrici, l’arte figurativa neo-tradizionalista di Bettina Rampielli, il cui pendolo oscilla fra il verismo e l’astrattismo ed il neo-cubismo di matrice romana di certi Paesaggi e l’espressionismo di una Crocefissione, datata al 1955. Mancano i tratti somatici della figlia Betty, nell’Autoritratto con la madre, un olio su tavola del 1945, “dove la pittrice si rappresenta con la madre alle spalle. La particolarità di lasciare non finito il proprio volto allude al dolore per la perdita della madre Albina. L’impossibilità di esprimere con la pittura il dolore interiore, spinge Bettina a privarsi metaforicamente dei propri tratti distintivi, portando l’opera sul terreno della ricerca esistenziale piuttosto che pittorica”. Dal punto di vista cromatico la pietra smeraldo che illumina il volto, dipinto con verismo, della madre, richiama la giacca della figlia; ci sono, invece, le tinte dei Fauves sui tetti di Perugia ritratti dall’alto del Torrino, i rossi squillanti cari a Matisse, mentre sulle tele di soggetto sacro campeggiano i verdi e i blu degli Espressionisti, così come sugli oli su tavola del Messaggio di pace del 1955 e della Madonna con bambino di due anni successiva.

Débrisart per Brajo: figure, straticromie, polimaterici, cromoggetti, legni, ceramiche. Sperimentazioni e rievocazioni inconsce del dripping di Jackson Pollock

Attratto dalla spontaneità del colore, dalle potenzialità insite nella materia, al riparo da ogni forma di emulazione delle correnti artistiche d’Oltreoceano – si pensi al dripping di Jackson Pollock –, Brajo si diverte – una sorta di divertissement materico – a riassemblare scarti di plastiche, legni, tubi, tappi, bottiglie: Cromoggetti (anni Sessanta), Straticromie (fine anni Quaranta), Favocromo (polimaterico, 1970), Tre bottiglie vivomorte (polimaterico, 1971) comunicano di per sé, congedandosi definitivamente dal figurativo e divenendo essi stessi mezzi di espressione artistica, sulla base di una direzionalità cui anche il colore può condurre: il bianco, il rosso, il nero.

Renato Guttuso e gli amici del “focolare” dei Fuso, fra studi a carboncino, variazioni cromatiche e materiche, bozzetti, oggetti di scarto, terrecotte

Ci sono gli studi a carboncino di Renato Guttuso, in questa ultima sezione della mostra, dedicata, nello specifico, agli artisti che frequentarono il salotto di casa Fuso, ci sono gli oli su tavola di Arturo Checchi, Antonio Natalini, le nature morte di Nicolao e di Fiorenzo Tomea, i bozzetti di Dante Filippucci, Garbini, Nino Frico, i dipinti di Ugo Castellani, le sculture in cera e gesso di Bruno Arzilli e di Aurelio De Felice, così come le terrecotte di quest’ultimo, i Senza titolo di Manilo Bacosi, Gianni Dragoni, Pietro Cascella, Umberto Raponi, Guido Mirimao, Mario Pitzurra, Bruno Marcelloni, Debora Sloane, Guglielmo Cavellini, Diego Latella; e ancora: le Mele di Romano Notari, l’Itinerario sentimentale di Achille Pace, con i suoi fili conduttori dorati di una levità di tratto che ricorda quella delle linee di Mirò, e La bancarella  di mano di un Alberto Burri figurativo. Ritrassero Bettina – è il caso del Ritratto di Bettina Fuso eseguito da un giovane Guttuso nel 1932, in cui, si legge ancora nel catalogo, “emerge una Bettina composta e assorta, tratteggiata con pennellate sicure, e forte della propria espressione femminile” –, e donarono le proprie opere ai coniugi Fuso: uno dei dipinti più belli, secondo i curatori dell’esposizione, è l’elegante ritratto di Bettina che Romeo Costetti, fratello di Giovanni, entrambi rappresentanti del “Ritorno all’ordine” degli anni Venti e Trenta eseguì negli anni Quaranta. Bettina vi è raffigurata a mezzo busto, di profilo, con lo sguardo rivolto alla sinistra dell’osservatore, in un’espressione compiaciuta, fiera, stemperata nel bianco della sigaretta che tiene fra le dita della mano destra, le unghie laccate di rosso, in contrapposizione cromatica all’abito nero. Negli anni Quaranta stava aspettando il marito, reduce di guerra. E stava già pianificando, forse, l’ascesa artistico-culturale di Brajo, spintasi – la mostra lo attesta – ben oltre il semplice diletto o il mero vezzo, nel corso di una lunga, dolorosa convalescenza.

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