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David Harris, Enciclopedia della calligrafia. 100 alfabeti completi e come realizzarli.

Milano, Il Castello, 2003.

Copyright 2003 Quarto Publishing Inc..

di Martina Pazzi

καλὸς è polisemico, in greco antico. Assume sia il significato di “bello”, che quello, altrettanto letterale, di “buono”, e la sua significanza va oltre il mero concetto estetico. Perché la bellezza, nella cultura classica, era inscindibilmente legata all’etica, alla bontà, alla moralità. Non c’è nulla di “morale”, è vero, fra i tratti costitutivi di una lettera, non vi è niente di “etico” nella sequenza spazio-temporale dei tempi che la scansionano, o all’interno dei ghirigori e degli svolazzi che la corredano, specie quando questi ultimi incastonano un’immagine, esplicativa o meno, “parlante” o no. “La lettera è precisamente ciò che non rassomiglia a nulla – era solito affermare Roland Barthes in Le plaisir du texte, Paris, Éditions du Seuil, 1973 (trad. it. Variazioni sulla scrittura seguite da Il piacere del testo, Torino, Einaudi, 1999). L’assoluto intento della lettera è contro-analogico”. Eppure, a ben guardare – e, visto che di lettere si parla, a ben ammirare, se mirar in spagnolo equivale, appunto, all’italiano “guardare” – i calligrafi italiani, nei loro manuali cinque-seicenteschi, definivano “bellissime” le lettere impresse a mezzo stampa, con sgorbie e bulini su matrici di legno o di rame, non tanto e non solo perché esteticamente gradevoli all’occhio, ma, soprattutto, perché conformi a criteri schematici e ripetibili, razionali. Il loro obiettivo, in ultima istanza, non era quello di impartire la “scrittura bella” – il concetto di calligrafia è arrivato, infatti, dopo –, ma quello di insegnare a “scrivere bene”.

Scorrendo l’indicizzazione conoscitiva del sommario dell’Enciclopedia della calligrafia.100 alfabeti completi e come realizzarli, che reca la firma di David Harris e che è stata editata a Milano da Il Castello nel 2003 – “tutte le fotografie – si legge in quell’importante spazio paratestuale, posto in calce, costituito dai “Ringraziamenti” – e le illustrazioni sono copyright di Quarto Publishing plc.” – così come si sono rivelati fondamentali i contributi di Mary Noble, per la preparazione, e di Janet Mehigan, per la miniatura – risulta più trasparente il titolo, in effetti neanche troppo “opaco”, dell’edizione originale in lingua inglese The calligrapher’s bible: il lavoro del calligrafo Harris si risolve in una vera e propria “Bibbia” per le aspiranti “belle mani”, essendo corredato, oltre che di un’ampia introduzione, anche di altre tre sezioni afferenti alla preparazione, concernente gli strumenti i materiali e i fondamenti di impaginazione, alle grafie tout-court, dalle romane alle post-romane, dalle insulari alle moderne, passando per le gotiche, le rinascimentali, le barocche, fino alla terza ed ultima parte, dedicata alla miniatura ed alla decorazione, ed un ulteriore apparato paratestuale dicotomico: un indice analitico, e una tavola contenente i ringraziamenti.

«La crescita senza precedenti dell’information technology (IT) a cavallo tra il XX e il XXI secolo – afferma Harris nella nota introduttiva al volume – costituisce solo il culmine di un processo iniziato più di un secolo prima con l’invenzione della macchina da scrivere». Il paradosso, però, è che il target degli aspiranti scrittori a mano ha subìto un incremento consistente: «I calligrafi moderni – si legge ancora nell’introduzione – devono molto alle scritture latine sviluppate più di 2.000 anni fa (...). L’alfabeto che utilizziamo oggi è un’eredità dei Romani, che lo hanno a loro volta ereditato dagli Etruschi. I Romani hanno aggiunto le lettere greche “Y” e “Z”, portando il numero totale delle lettere a 23. La “J”, la “U” e la “W” sono un’aggiunta medievale per accogliere ulteriori valori fonetici». Questo breve excursus diacronico sulle scritture che la storia stessa ha provveduto a delegittimare – dalla capitalis monumentalis ai caratteri onciali e semionciali, dalle insulari esemplate nel Libro di Kells, fino ai codici carolingio, umanistico, ed alla «rinascita della calligrafia moderna (...) dovuta all’abilità e all’assennata ricerca di pochi individui, tra cui l’inglese Edward Johnston», il quale, ricorrendo al Ramsey Psalter, un minuscolo carolingio inglese, sviluppò una scrittura chiara, immediatamente leggibile in termini di trasparenza mediale, ha la funzione di accompagnare il lettore dell’opera all’interno del laboratorio calligrafico approntato da Harris, sia con indicazioni prettamente pratiche – “Come usare questo libro” –, che con sussidi per la preparazione degli strumenti, atti alla preparazione del supporto scrittorio e alla progettazione visiva delle pagine – strumenti e materiali: “lo strumento di scrittura è uno dei fattori più importanti – nella determinazione di una lettera calligrafica. Affilato o appuntito, morbido, rigido o flessibile: questi fattori hanno effetto sulla velocità e il ritmo della scrittura”; pennarelli in fibra, penne stilografiche, penne con pennino (penne d’oca, pennini d’acciaio, pennini per incisione del rame, penne per manifesti, tiralinee), pennelli, fino agli strumenti per i miniatori, che necessitano, fra gli altri, di foglia d’oro semplice (attaccata), foglia d’oro a decalcomania (staccata), pennelli per applicare gomma, ammoniaca e gesso, brunitoi in pietra d’agata, e ai righelli, la squadra e il goniometro, le matite, le forbici. Un ruolo fondamentale è poi svolto da colori ed inchiostri: inchiostri cinesi in bastoncino con pietra, tubetti di colore a guazzo, inchiostro non impermeabile in bottiglia, penna con pennino, pennello piccolo, panetti di acquerello e tavolozza per mischiare i colori. Quanto al supporto, la cernita dei tipi di carta si rivela essenziale: «la carta per fare pratica – suggerisce Harris – deve essere bianca con una superficie liscia ma non lucida»: altri fattori che concorrono alla sua scelta e alla sua resa sono la grammatura, la sottigliezza, l’economicità, l’impregnabilità, l’effetto di pergamena screziata peculiare della cosiddetta “carta da calligrafia” – ma ne esistono di molte altre, come la carta per acquerello, la carta pesante bianca, la carta naturale fatta a mano, la carta pesante colorata, il blocco per schizzi, la carta Ingres e da pastello, etc. –: il merito di questa enciclopedia, in questo paragrafo come in tutti gli altri, è quello di fornire indici puntati riassuntivi della descrizione proposta, ed immagini esemplificative, sempre evidenziate mediante la funzione di indicalità.

La sezione dedicata alla preparazione dell’onerosa attività scrittoria tiene conto delle norme ergonomiche che regolano il lavoro dell’aspirante calligrafo: la messa a punto dello spazio di lavoro può, per esempio, prendere in considerazioni semplici accorgimenti come l’imbottimento della tavola, con la giustapposizione di vari fogli bianchi, fissati ai lati con del nastro adesivo; i modi di condurre la penna, infine, sono molteplici, e variano se l’andamento di scrittura è destrorso o sinistrorso, o a seconda che lo scrivente sia mancino o meno: il primo, a mero titolo di esempio, se scrive “ad uncino” può «ottenere risultati migliori scrivendo le lettere dal basso verso l’alto». L’operazione di scrittura non implica solo lo spazio, ma anche il tempo: per questo motivo “tratto” è sinonimo di “tempo”. I tratti possono essere spessi o sottili: «la calligrafia deve essere nitida – afferma Harris –. Questo significa che devono presentarsi chiare differenze nello spessore dei tratti della forma grafica di una lettera. Una “O” dovrebbe presentare parti spesse e sottili ben definite, e le lettere con tratti iniziali e finali dovrebbero presentare “filetti” ad ogni estremità e non delle “gocce”, che sono parte integrante della lettera»: per ottenere tali effetti, la raccomandazione è di prestare particolare attenzione all’angolazione della penna qualora si “tirino righe” – operazione per la quale Harris consiglia di contare il numero di larghezze del pennino in ogni collezione alfabetica, o si traccino l’altezza della lettera stessa o il “corpo” la discendente e l’ascendente che eventualmente le corredano.

Degni di nota sono, poi, i fondamenti di impaginazione, la mise en page e la mise en texte, per il controllo dello spazio e della quantità di bianco di una pagina: nelle bozze e nel menabò, infatti, «l’equilibrio generale del lavoro (...) [è dato anche dalla] quantità di spazio bianco», che, in quanto oggetto di senso, può favorire od ostacolare il design del testo scritto. L’equilibrio, inoltre, scaturisce da una serie di fattori: le righe di testo e l’interlinea, i margini, l’enfasi ed il contrasto, calibrati per aumentare l’impatto visivo, eventuali aggiunte di design, assemblaggio delle informazioni con predilizione per layout più o meno dinamici.

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