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Storie d'arte raccontate in prima persona

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MILA DAU

di Mila Dau

Mila Dau è nata a Roma ed ha studiato in Canada ed in Italia. Ha conferito una laurea in Architettura presso l’Università di Roma La Sapienza. Le sue opere sono state esibite in Europa e negli Stati Uniti. Attualmente vive e lavora a New York.

 

Mila Dau ha prodotto due libri d’artista – Oracles, una serie di vedute in miniatura di musei d’arte accoppiati a monumenti architettonici antichi, e Face to Face, ritratti estemporanei di artisti in olio su lino.

 

Il suo lavoro si è centrato sulle architetture dell’arte e le presenze umane ivi contenute, alternando dai contenitori ai contenuti attraverso cicli di lavori diversificati dal punto di vista formale ma uniti sotto il profilo concettuale.

 

I suo libri d’artista fanno parte della collezione del Brooklyn Museum di Brooklyn, del Canadian Centre for Architecture di Montreal, del Museum of Modern Art di New York, del Museum of Contemporary Art di Chicago, del National Gallery of Art di Washington, del Portland Museum of Art di Portland, Maine, del Whitney Museum of Art di New York, e di varie collezioni private in Europa e negli Stati Uniti.

RIFLESSIONI SULL' ARCHITETTURA DELL' ARTE

I musei  -ovvero I contenitori dell’arte-  sono da molti anni il soggetto del mio lavoro d’artista. Senza dubbio, la decisione di rappresentare musei e spazi museali nel mio lavoro è in parte dovuta al fatto di aver studiato Architettura (a La Sapienza di Roma), ma il mio interesse nasce anche dalla carica e dal senso di appartenenza che ho provato negli anni, visitando e frequentando questi spazi. In particolare, il senso di appartenenza ha svolto un ruolo primario nel mio sviluppo personale e creativo poiché sono figlia di due cervelli in fuga dall’Italia nelle emigrazioni del dopoguerra. L’arte mi offriva una specie di identità sovranazionale che andava oltre specifici confini geografici e culturali, collocata com’era nei musei e nelle collezioni del mondo, ed offriva tracce di identità originaria per chi la volesse proprio individuare. Ho scoperto molto presto che questo era un mondo al quale si poteva appartenere senza documenti, passaporti o visti di ingresso, e ne ho sentito subito l’attrazione e intuito l’importanza ancora da giovanissima.

Quindi per me l’arte non è stata solo un prodotto della creatività umana ma anche un’occasione per scoprire e crearmi un’identità personale. I musei erano non solo contenitori di capolavori artistici ma anche luoghi di possibile formazione  e crescita e di benessere individuali. Tuttavia, negli anni di più appassionata frequentazione dei musei, ho iniziato a fissare sempre di più l’involucro, e a constatare che in alcuni musei d’arte, soprattutto contemporanea, il contenitore era diventato il vero centro dell’attenzione a volte a discapito delle opere d’arte contenute. Quindi, all’iniziale attrazione emotiva per questi spazi e ciò che contengono, si è aggiunta l’attenta ricerca degli edifici e dell’architettura museale storica e contemporanea. Simultaneamente, questa ricerca è diventata l’idea centrale del mio lavoro, sviluppandosi dal 1991 in poi, attraverso una serie di progetti grafici e pittorici molto diversificati dal punto di vista formale, ma uniti sotto il profilo concettuale.

Nel 2009, la mia attenzione si è spostata dalla serie intitolata Enfilades, (immagini 1-2), rappresentazione monocroma degli interni dell’arte contemporanea privi di qualsiasi presenza umana, ad immagini dove appaiono figure che nei musei vi lavorano o li visitano. Popolati o no, altre immagini intitolate Flooded Halls (immagini 3,4, 5) sono ricoperte da strati di velature colorate che, gocciolando attraverso la superficie dipinta del quadro, sommergono con ondate di colore tutto quello che incontrano, riempiendo gli interni vuoti.

Come scrive Claudia Conforti su Liberal nel 2010, “Qui il critsallino rigore monocromatico delle superfici murarie viene esaltato (e ambiguamente contraddetto) da filamenti viscosi orizzontali, intensamente purpurei o acidamente gialli o elettricamente blu che, come liquidi flutti, ondeggiano verso l’alto e mettono in crisi l’esattezza euclidea dell’architettura.” Di crisi si è certamente trattato in quanto il precedente appagamento offerto dallo spazio museale in sé mi è apparso nel tempo come un vuoto, una mancanza, forse proprio della presenza umana. Infatti, gli spazi museali si popolano mano a mano di visitatori, guardie e custodi che erano sempre stati presenti nella realtà ma che ora assumono un loro ruolo di presenze significative (immagini 6,7,8). L’impatto di queste presenze, “connazionali” in quanto frequentatori degli spazi dell’arte, ha condotto il mio lavoro ad una nuova svolta, alla separazione delle figure umane dal luogo museale vero e proprio. Visitor Cutouts, una serie nata nel 2010 (immagini 8,9,10), è il titolo prosaico delle figure di guardie o visitatori dipinte ad olio su carta preparata o tela montata su sagome di poliplat. Vediamo che le figure umane sono quindi emerse dal contesto museale, staccandosi letteralmente dai luoghi di provenienza e, al tempo stesso, dalla tela -la superficie vera e propria del quadro-; è avvenuto dunque un doppio distacco, dal luogo di appartenenza e al tempo stesso dal supporto tradizionale della pittura.

Tuttavia questo non è stato un distacco definitivo poiché la serie dei Visitor Cutouts è nata inizialmente come complemento ai miei lavori su carta e tela, offrendomi infinite possibilità di aggregazione e combinazione con i fondi dipinti (immagini 11, 12). In seguito, è diventata un’idea a sé stante, una proposta di istallazione di circa quaranta sagome di visitatori di varie misure sospese dal soffitto di uno spazio espositivo, che costringono gli spettatori ad alzare la testa e rispecchiarsi nella folla di figure come loro, che guardano opere d’arte inesistenti sopra alle loro teste. Ma, nel tempo, l’idea ha assunto anche una sua completa indipendenza, trasformandosi da progetto specifico iniziale in risorsa creativa da esplorare e capitalizzare attraverso vari cicli di lavori (immagini 13, 14, 15).

E questo mi porta al punto di arrivo e di partenza del mio lavoro attuale, un punto più giocoso ed inclusivo. Paradossalmente, l’aver accantonato i musei, quella che è stata la tematica principale della mia ricerca degli ultimi anni, e l’essermi staccata dalla superficie della tela (ma non dalla pittura), mi ha permesso di tornare al contenuto con più idee, più felicità e più entusiasmo. Sono pronta a seguire questa nuova svolta ovunque mi porti.

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